Novembre 2019
Recentemente, nei giornali è divampata una polemica innescata da un articolo pubblicato dal
settimanale l’Espresso che riporta un’intervista ad un storico della scienza, Gilberto Corbellini, in cui lo studioso si scaglia contro la psicoanalisi come dottrina semplicemente in quanto ”non scientifica” e, quindi, per la cura delle malattie mentali paragonabile ad omeopatia ed agopuntura.
Ne è seguita una presa di posizione della SPI e, sul Manifesto, dello psicoanalista Sarantis Thanopulos
La Scuola di Psicoterapia Comparata intende ribattere chiarendo concetti epistemologici
imprescindibili quando si parla di scienze umane.
Ecco l’intervento fatto per il nostro sito del prof. Carlo Sini:
In merito alle considerazioni di Gilberto Corbellini sulla psicoanalisi
Carlo Sini
Il professor Corbellini, nella sua intervista, sostiene giustamente che la pratica psicoanalitica, comunque intesa, non è una scienza nel senso, per esempio, della metodologia sperimentale “galileiana”; dove questa pretesa venisse avanzata, va senz’altro respinta. La psicoanalisi non è una branca della medicina o della psicologia clinica e, beninteso, non avrebbe alcuna ragione o alcun vantaggio nel pretenderlo (salvo avanzare camuffate aspirazioni “mercenarie” che sono da respingere con forza). Questo non significa che la psicoanalisi non sia una forma di sapere, con una sua storia certamente profonda e straordinaria (ma bisogna appunto conoscerla e saperla intendere nella sua costitutiva storicità e nelle sue conseguenze attuali: compito che la semplice competenza psichiatricoclinica non è minimamente in grado di soddisfare).
Corbellini, preda evidente delle sue animose idiosincrasie personali, ama usare il termine di “antiscientificità”, senza rendersi conto della natura profondamente antiscientifica del suo discorso, dove tra l’altro butta là riferimenti all’agopuntura e all’omeopatia, senza neppure alludere alla natura storico-culturale di tali pratiche e alla loro totale estraneità rispetto alla storia della psicoanalisi, che è come mettere le mele con le pere (forse sarà l’effetto dello scarso tempo di una semplice intervista): sono tutte antiscientifiche e basta. Ma il punto è che per il professor Corbellini esiste solo una verità e una realtà, che è quella che deriva dal lavoro e dagli oggetti delle scienze naturali. Tutto il resto è impostura e circonvenzione di incapace, anche se psicologicamente e occasionalmente efficace. La comprensione e la realtà di un’idea, per esempio, accadono solo se le sappiamo convertire in un fenomeno biologico. Però Corbellini non si chiede se questo suo discorsetto non sia a sua volta l’effetto di un qualche evento cerebrale o che diavolo sia. Il che, se così fosse, mostrerebbe l’equivalente di un perfetto ragionamento che si morde la coda o “ragionamento a pera” che dir si voglia. Lui, come tanti e tanti oggi, si rifà alle neuroscienze e ne condivide conformemente il ragionamento che porta a considerare fatti cerebrali osservabili come “cause” di fenomeni quali, ad esempio, il linguaggio o la memoria. E così leggiamo sciocchezze che parlano di pezzi di cervello in quanto essi “presiedono”, “governano”, “strutturano”, “interpretano” e via dicendo: questa sì che è espressione di irrazionalità profonda, che purtroppo intorbida, sul piano dei discorsi a vanvera e delle mere opinioni, il lavoro sperimentale meraviglioso e sicuramente proficuo che le neuroscienze d’altronde e per nostra fortuna compiono, senza però disporre ancora di una adeguata conoscenza epistemologica per comprenderlo davvero. Il procedimento invece assomiglia a chi confonde la mappa e il territorio o a chi pensasse che le righe a stampa che qui si leggono sono loro a “produrre” i pensieri che esse veicolano, ovvero che ne sono la “causa”. Senza che questo comporti invece pensieri di natura astrattamente “spiritualistica” o gratuitamente trascendente, ma non è possibile qui procedere oltre.
A conforto del lettore di queste non rallegranti polemiche, ricordo due passaggi di Le parole e le cose di Michel Foucault (1966): «È inutile dire che le “scienze umane” sono scienze false: non sono affatto scienze»; «Il rapporto della psicoanalisi con ciò che rende possibile ogni sapere in generale entro l’ordine delle scienze umane ha ancora una conseguenza: essa non può infatti dispiegarsi come pura conoscenza speculativa o teoria generale dell’uomo […]. Il suo varco può trovar compimento solo all’interno di una pratica coinvolgente non soltanto la conoscenza che si ha dell’uomo, ma l’uomo stesso; l’uomo, con la Morte che opera nella sua sofferenza, con il Desiderio che ha smarrito il proprio oggetto, e con il linguaggio in virtù del quale, attraverso il quale, la sua Legge silenziosamente si articola. Ogni sapere analitico è pertanto invincibilmente legato a una pratica, alla strozzatura del rapporto tra due individui l’uno dei quali ascolta il linguaggio dell’altro, affrancandone in tal modo il desiderio dall’oggetto che ha perduto (facendogli intendere che lo ha perduto), e liberandolo dalla prossimità costantemente ripetuta della morte (facendogli intendere
che un giorno morirà). Nulla è quindi più estraneo alla psicoanalisi quanto una teoria generale
dell’uomo, o un’antropologia, o qualcosa del genere».