di Nicoletta Massone
Le questioni circa lo statuto epistemologico della psicoanalisi continuano ad impegnarci, sulla scorta sia della sollecitazione che deriva dal nostro interrogarci circa la natura e la “validità” delle teorie e del metodo che applichiamo, sia in base alle questioni che, in merito, ci vengono rivolte da colleghi di indirizzi terapeutici diversi, dai pazienti stessi e dalle persone con cui, a diverso titolo, ci incontriamo.
Le critiche del neopositivismo
Le domande più frequenti possono essere ben rappresentate da quelle che sono state portate alla psicoanalisi dall’area del neopositivismo. Molto conosciute quelle di Karl Popper e di Ernst Nagel.
Secondo Popper, le teorie psicoanalitiche sono pseudoscientifiche perché non controllabili o falsificabili. Esse
“Non escludono alcun comportamento umano fisicamente possibile. Qualsiasi cosa uno possa fare, è, in linea di principio, spiegabile in termini freudiani o adleriani. […] La teoria è compatibile con qualsiasi cosa possa accadere.”
K. Popper, Risposte alla mia critica, in Schilpp, La filosofia di Karl Popper, 1974
Stando così le cose, ogni comportamento che sembri disconfermare una tesi della teoria generale, può essere reso sintonico mediante l’impiego di altra parte della teoria che trasforma quel comportamento da elemento contraddittorio in fattore coerente. La teoria non sbaglia mai, non è confutabile, ma, proprio per questo, non è scientifica
La psicoanalisi, inoltre, è ulteriormente non confutabile perché, accusando i critici di resistenze inconsce, toglie valore ad ogni obiezione che possa essere fatta e si sottrae, in questo modo, all’esame razionale.
Questa critica, paradossalmente, è stata confutata proprio da Adolf Grünbaum, uno dei più attenti problematizzatori del costrutto psicoanalitico. L’obiezione risulterebbe cogente, dice il filosofo tedesco, solo se si supponesse che la teoria freudiana conceda la possibilità di postulare a piacere le condizioni iniziali di una persona, autrice del comportamento che si sta osservando. Ad esempio, l’affermazione: il signor Rossi tenta di salvare un bambino caduto in un canale per combattere il suo senso di colpa, può essere ritenuta appropriata solo se si era ipotizzato uno stato interno del signor Rossi, relativo al senso di colpa e solo se il comportamento osservato può essere messo in relazione con la condizione della colpa. L’ipotesi circa la condizione mentale del soggetto introduce vincoli che restringono il campo d’applicazione del nesso causale, cosa che rende la teoria falsificabile e, quindi, inscrivibile nell’ambito del contesto scientifico.
Ernst Nagel, intervenendo al Simposio di New York del 1958, sostenne che la psicoanalisi non possedesse le adeguate “regole di corrispondenza” per connettere in modo univoco i suoi concetti teorici – in primo luogo quello di inconscio – ai concetti osservativi. Per questo, essendo priva di contenuti empirici, non è né conformabile, né confutabile.
La teoria freudiana “è asserita in un linguaggio così vago e metaforico che quasi ogni cosa sembra compatibile con essa”.
In realtà, le argomentazioni di Nagel dimostrano soltanto che la controllabilità della psicoanalisi è meno semplice, univoca e sicura di quanto lo sia quella delle scienze sperimentali della natura; non prova, pertanto, che tale controllabilità non è del tutto non eseguibile, sancendo la non scientificità della disciplina.
Le critiche più puntuali, come si diceva, sono arrivate dal filosofo tedesco Adolf Grünbaum. Secondo Grünbaum, in psicoanalisi tutte le fonti da cui si ricavano i dati sono contaminate: l’interpretazione dei lapsus, quella delle libere associazioni o dei sogni non possono garantire l’attendibilità dei dati clinici e, in generale, è impossibile pervenire a tale affidabilità rimanendo nell’ambito ristretto della seduta psicoanalitica.
“Ciascun dato clinico apparentemente indipendente, può conformarsi ad una costruzione prevedente l’influenza esterna […] E’ proprio nel contesto della pretesa convergenza che si presentano i difetti da me discussi; queste debolezze entrano egualmente in ciascuna delle tre aree di indagine clinica in cui le libere associazioni servono a svelare presunte rimozioni: l’indagine degli elementi patogeni dei sintomi del paziente, l’interpretazione dei suoi sogni e quella dei suoi lapsus”.
A. Grünbaum, Il fondamento della psicoanalisi.
Da ciò discende la necessità di controlli extraclinici che possano verificare la validità dei dati.
I principali controlli extraclinici su cui, secondo Grünbaum, fonda la controllabilità empirica della psicoanalisi presuppongono, però, a ben vedere, paradossalmente, quella stessa attendibilità dei dati clinici ch’egli ha così decisamente negato e dalla cui negazione, anzi, ha fatto discendere proprio la necessità dei controlli extraclinici.
Se affermo, per i lapsus, che non è chiaro in che modo proprio quel contenuto rimosso trovi espressione nella dimenticanza e nella sostituzione della parola osservata, accetto, al tempo stesso, il concetto di rimozione; se sostengo che l’elemento inconscio che trova espressione nel contenuto manifesto del sogno possa essere influenzato dal terapeuta, implicitamente dò per scontato il concetto di lavoro onirico e della sua operazione trasformativa; se affermo che il transfert può portare ad un falso assenso, faccio mia la teoria del transfert così come elaborata da Freud e così di seguito.
Il controllo extraclinico e statistico dell’efficacia della terapia psicoanalitica o della necessità dell’insight affinché abbia luogo una guarigione effettiva, non può avvenire prescindendo completamente dai risultati ottenibili tramite il metodo clinico freudiano, poiché è soltanto all’interno della seduta che può essere accertato se è avvenuta o meno sia la guarigione, sia l’insight del paziente.
Con la critica che stiamo esaminando, si dimostra semplicemente che, nel caso della psicoanalisi come in quello di tutte le scienze umane, la fondazione della verità dei concetti prevede un percorso più articolato rispetto a quello operante per le scienze della natura.
La psicoanalisi come ermeneutica
Sostanzialmente, la psicoanalisi sembra appartenere all’ambito delle scienze umane e condividere con esse la specifica costituzione, dato che comune è l’oggetto di indagine. Mettere in risalto questo aspetto è stato l’intento di una serie di pensatori che hanno inteso la psicoanalisi come una disciplina ermeneutica.
Secondo Paul Ricoeur, uno dei più significativi esponenti del movimento, l’esperienza analitica si realizza sempre nel campo della parola in cui sintomi, sogni, deliri, ecc., compaiono come effetti di senso e non, come invece accade nell’ambito scientifico, quali meri oggetti dati.
“Ciò che è pertinente per il soggetto non è il fatto, ma il significato che il fatto ha assunto per il soggetto stesso. […] Neppure la condotta, quindi, è per l’analista una variabile dipendente, osservabile dall’esterno, ma l’espressione dei cambiamenti di senso della storia del soggetto, quali affiorano nella situazione analitica.”
La corrente ermeneutica cerca di dare spazio alle caratteristiche specifiche degli oggetti della disciplina psicoanalitica, oggetti che non sono inanimati, non sono materiali, soprattutto dotati di coscienza e di possibilità di scelta, per cui non del tutto assimilabili a quelli delle scienze della natura.
Così si esprime Karl Otto Apel, evidenziando una delle caratteristiche proprie dell’oggetto delle scienze umane:
“Solo attraverso la comprensione, gli uomini possono tradurre il linguaggio della spiegazione nel linguaggio di una più profonda autocomprensione che modifica la loro struttura motivazionale e toglie, così, alla spiegazione il suo fondamento.”
Al riguardo, Jürgen Habermas parla, per la psicoanalisi, di autofraintendimento scientista. La psicoanalisi, in quanto procedimento conoscitivo e affettivo, ad un tempo “non può mai essere sostituita da tecnologie tratte da teorie delle scienze empiriche. […] L’esperienza della riflessione, indotta attraverso un chiarimento di connessioni prima ignote, è l’atto attraverso cui il soggetto si svincola da una posizione in cui era diventato oggetto. Questa specifica prestazione deve essere presa dal soggetto stesso; non può esserci nessun surrogato.”
L’esperienza analitica si svolge sempre nel campo della parola, in cui sintomi, sogno, deliri, ecc, compaiono come effetti di senso e non, come invece accade nella psicologia empirica, quali meri segmenti di condotta.
Lo stesso vale per le pulsioni che, pur avendo la loro sede nell’inconscio, possono essere incontrate solo nelle loro derivazioni, nei rappresentanti delle pulsioni.
“Ciò che è pertinente per il soggetto non è il fatto, ma il senso che il fatto ha assunto nella storia del soggetto […] Neppure la condotta, quindi, è per l’analista una variabile dipendente, osservabile dall’esterno, ma l’espressione dei cambiamenti di senso della storia del soggetto, quali affiorano nella situazione analitica. Parlando in senso assoluto, in psicoanalisi non vi sono fatti, perché in essa non si osserva, ma si interpreta”.
P. Ricoeur, Dell’interpretazione. Saggio su Freud.
Da tutto ciò si ricava, secondo gli esponenti della corrente in questione, che le interpretazioni e le teorie psicoanalitiche non sono verificabili allo stesso modo in cui vengono fondate le ipotesi delle scienze sperimentali.
Lo statuto scientifico della psicoanalisi
Per parlare della fondazione scientifica della psicoanalisi, è possibile fare riferimento alla teorizzazione di Evandro Agazzi. Secondo Agazzi, le concrete operazioni della vita quotidiana hanno una valenza conoscitiva; ad un tempo: scoprono aspetti del mondo reale e garantiscono, intorno a tali scoperte, la possibilità di un accordo intersoggettivo. Se si riesce a operare sulla realtà seguendo le linee guida di una scienza, questo vuol dire che quella scienza ha colto qualche aspetto di verità intorno al mondo, ha colto proprietà effettive della realtà.
La psicoanalisi rende possibile una particolare “conseguenza tecnica”, ossia la possibilità di esercitare un controllo sul comportamento che si esprime soprattutto come efficacia terapeutica.
D’altra parte, affinché si possa essere in un contesto scientifico, è necessario che si possano indicare i criteri che permettano di accertare se si è raggiunto o meno l’obiettivo terapeutico che ci si era assegnati. La possibilità di previsione, però, in psicoanalisi è sempre limitata dalla presenza della libertà umana che esclude una completa determinazione del comportamento.
La non prevedibilità
“Fino a che seguiamo lo sviluppo di un caso a ritroso, a partire dal suo esito finale, si genera un contesto privo di lacune e pensiamo di avere raggiunto una visione delle cose del tutto soddisfacente. Ma se percorriamo la via opposta, se partiamo dalle premesse rinvenute mediante l’analisi e se cerchiamo di seguirle sino al risultato, l’impressione di una concatenazione necessaria e non altrimenti determinabile, viene completamente meno. Ci accorgiamo immediatamente che l’esito avrebbe potuto essere diverso e che questo diverso esito avremmo potuto capirlo e spiegarlo altrettanto bene. In altre parole, la conoscenza delle premesse non ci permette di prevedere la natura del risultato”.
S. Freud, Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile.
Gli elementi ripetibili
La libertà umana, dunque, esclude una completa prevedibilità del comportamento, anche se non la esclude totalmente, visto che ci sono aspetti del comportamento stesso non dipendenti dall’intenzionalità cosciente.
La funzione svolta in altre scienze da sistemi ripetibili che possono diventare oggetto di una osservazione controllata è, in psicoanalisi, presente negli stereotipi di comportamento che si manifestano nella coazione a ripetere forme e contenuti di transfert. La presenza di strutture relativamente stabili, durevoli e ripetibili, rende possibile previsioni condizionali e imputazioni causali.
Dice ancora Ricoeur:
“L’inconscio e i meccanismi inconsci non sono direttamente degli oggetti, delle cose, ma gli automatismi affettivi li assimilano, per quanto possibile, alle cose fisiche, delle quali simulano il determinismo. Mentre il determinismo delle cose è incompatibile con la coscienza e la sua libertà, questo quasi-determinismo è il rovescio di una quasi coscienza e di una quasi libertà.”
Intorno a tali regolarità, si possono ipotizzare leggi di accadimento e si possono creare procedure – i metodi clinici – da applicare alle diverse situazioni terapeutiche. Sono proprio questi metodi clinici a costituire l’utilizzabilità tecnica della psicoanalisi. Quell’utilizzabilità tecnica, quelle procedure utilizzabili intersoggettivamente e intersoggettivamente falsificabili, che, secondo Evandro Agazzi, sono il criterio di verità delle teorie scientifiche.
Naturalmente, data la natura dell’oggetto della scienza umane, le teorie su cui esse si fondano hanno natura intrinsecamente probabilistica e statistica. Significativamente dice Ricoeur: “uno scarto, piccolo quanto si vuole, separa sempre una motivazione automatica da un determinismo di cose”.
Ma il fatto che, comunque, si approdi alla costituzione di un metodo clinico che produce conseguenze pratiche – ossia terapeutiche – in modo che tale metodo sia applicabile da tutti, fonda l’intersoggettività della tecnica psicoanalitica e anche dei dati che si possono ottenere attraverso l’utilizzo del metodo stesso.
Le procedure di controllo dei dati
Dati e risultati, ovviamente, debbono essere verificati attraverso specifiche procedure di controllo.
Per ragioni connesse all’oggetto del discorso psicoanalitico, oggetto che ammette regolarità sufficientemente stabili ed estese, ma che esclude l’esistenza di costanze sottratte completamente alla mediazione della coscienza, l’applicazione del criterio tecnico-operativo deve assumere un carattere duplice, rinviando, per una certezza delle sue conclusioni, ad un esame che sia realizzato al di fuori del contesto clinico.
La psicoanalisi può usare i propri strumenti concettuali poiché è in grado di sottoporre quest’uso ad un primo e immediato controllo pratico-tecnico, che ha il suo fondamento nei risultati terapeutici che riesce a conseguire. Le difficoltà di questo primo controllo, esigono, però, per un più sicuro giudizio, un secondo genere di accertamento che è extraclinico.
Detto in altri termini, lo psicoanalista può usare in piena autonomia il proprio metodo e le proprie tecniche cliniche (interpretazione dei sogni, libere associazioni, ecc.), nessuno può sostituirsi a lui nel valutare i risultati terapeutici cui egli, in tal modo, perviene, ma le caratteristiche del peculiare oggetto di indagine – come accade in tutte le scienze umane – richiede un più sicuro giudizio, un riscontro di secondo genere che, poggiando sulle conclusioni dello psicoanalista, ne verifica ulteriormente le conclusioni stesse, cercando di ricostruirle, di giungere ad esse seguendo una via almeno in parte diversa.
Questo tipo di controllo, detto extraclinico, più propriamente si dovrebbe chiamare controllo di supervisione, eseguito da psicoanalisti esperti del transfert e del contro transfert, dei meccanismi di scissione, di identificazione proiettiva e introiettiva, ossia esperti di ciò che accade nella dinamica relazionale.
La collaborazione sinergica di controllo clinico ed extraclinico sembra essere il fondamento della verificabilità intersoggettiva della psicoanalisi.
Il paradosso di una disciplina che non ha interamente al proprio interno i criteri della giustificazione della verità delle sue proposizioni è elemento proprio di tutte le scienze umane: in ogni momento, infatti, l’oggetto indagato può revocare il valore delle leggi che lo concernono e, per questo, le metodiche utilizzate per indagare la realtà umana debbono essere integrate da metodi che, per la loro natura generalizzante, possono garantire l’esistenza di strutture in possesso di un grado di ripetibilità abbastanza elevato da permettere la costruzione di un sapere capace di spiegazioni e previsioni circa il suo oggetto.