Abbiamo pensato ed atteso a lungo questo incontro in ricordo di Giorgio Blandino, che ci ha lasciato ormai da due anni.
Giorgio Blandino – (Professore Ordinario di Psicologia Dinamica presso l’Università di Torino e Vicepresidente dell’Ordine degli Psicologi del Piemonte) – è stato per molti anni docente di Psicologia Dinamica presso la nostra scuola.
Diventando così, per noi, uno straordinario interlocutore e un caro amico.
Giorgio era simpatico, colto, capace di un umorismo sferzante e molto piemontese, ma era anche un uomo tenero e gentile.
Estremamente attento ai problemi dell’orientamento professionale e della formazione, diceva che il nostro lavoro di psicoterapeuti ci obbliga a percorrere una strada affascinante, ma complessa, problematica e faticosissima.
“Perché uno decide di fare lo psicoterapeuta?” si chiedeva provocatoriamente Giorgio, e provocatoriamente rispondeva: “perché è matto! Le persone normali non fanno questo tipo di lavoro, che implica una formazione molto lunga e molto impegnativa, per poi occuparsi, per tutta la vita, dei fatti altrui…
E aggiungeva: ogni mestiere è funzionale ad una determinata psicopatologia, e le patologie attuali dominanti sono tre: il narcisismo, la depressione, e la malattia di chi vuol diventare psicologo!
Una caratteristica molto vera – quella di essere un po’ matti – e di conseguenza una responsabilità irrinunciabile – quella di prendersi cura della propria mattitudine e dotarla di senso, prima di affrontare e curare la sofferenza altrui….
Perché, per occuparci – come diceva Giorgio – dei fatti altrui, dobbiamo prima di tutto conoscere, comprendere e bonificare i “fatti nostri”.
Quindi, indispensabile è la formazione personale dello psicoterapeuta, in un serio iter professionale.
Giorgio conosceva bene – e temeva come la peste – il rischio, nella nostra professione, di una formazione fondata solo su teorizzazioni – una “mal-formazione” volta più che altro a difenderci e a liberarci dall’angoscia del contatto con l’ignoto e a proteggerci dall’incontro con l’altro.
Una formazione che finisce con il trasformare gli psicoterapeuti in psicoterapeuti-badanti – un mondo, questo, che Giorgio aveva studiato a fondo, e dalle cui seduzioni metteva costantemente in guardia i giovani psicologi.
Il mestiere di badante ha utilità e valore, ma è un altro: la nostra professione non dovrebbe coincidere con un accudimento volto a sorvegliare, addomesticare e semplificare la vita del paziente – ridotto così ad una presunta condizione di non-autosufficienza.
Da molti anni, e con accanimento crescente, è il mondo mediatico a presentare lo psicoterapeuta come una specie di guru-opinionista, equamente diviso tra il dispensare consigli della nonna e il lanciarsi in azzardati responsi da indovino: sono quelle che Giorgio definiva “le psico-sciocchezze”, “ interpretazioni distribuite a destra e manca”, che purtroppo non impestano solo l’ultima pagina delle riviste, nella rubrica “il parere dello psicologo”, ma entrano spesso -ahinoi- nelle stanze d’analisi di clinici maldestri, che l’impreparazione rende spesso arroganti.
Imparare ad osservare e ad ascoltare – noi stessi e gli altri: questo era l’invito di Giorgio. Osservare ed ascoltare, piuttosto che presumere di saper stanare il supposto inconscio dell’altro.
Allora, in nome di una psicoterapia volta all’ascolto autentico della persona, e contro – cito le parole di Giorgio – “tutto l’armamentario tipico dello psicologismo da strapazzo”, alcuni colleghi ci racconteranno oggi le loro riflessioni intorno a temi cari al nostro professore, e centrali per tutti gli psicoterapeuti: la ricerca delle radici culturali della psicologia, il valore della formazione, il viaggio condiviso di paziente e terapeuta, l’ironia nella relazione terapeutica, l’amore per la verità, il rischio dell’affettività…..
Un altro tema interessava a Giorgio: la psicologia dell’amicizia. Ci aveva, infatti, inviato una raccolta di riflessioni personali, in slides, che intendeva condividere con noi e con gli allievi…è mancato il tempo per farlo.
Mi limito, allora, ad un breve accenno ad uno degli ultimi contributi di Giorgio, cioè al suo pensiero intorno all’amicizia, e alla sua proposta di interpretare l’amicizia autentica come “una psicoterapia a costo zero”: scrive Giorgio che un amico che ci sappia davvero ascoltare, entrando in contatto profondo con i nostri sentimenti e che – nello stesso tempo – sia anche capace di farci riflettere, svolge una funzione terapeutica.
E d’altronde, lo psicoterapeuta – che non è un amico in senso stretto, perché il suo rapporto con il paziente è privo necessariamente di reciprocità – nella misura in cui ascolta e accoglie, svolge anche una funzione amicale….
L’amicizia è narrata, quindi, da Giorgio come funzione mentale, capace di contenimento, accoglienza, sostegno e fiducia. Capace di pensiero.
Ritroviamo la forza e il calore con cui il nostro professore ha sempre, fino all’ultimo, sostenuto il valore dell’ascolto, dell’impegno e della partecipazione. E dell’umanità del nostro mestiere – fuori da ogni retorica e rischio di caduta nella melassa, atteggiamenti che in Giorgio suscitavano prurito e noia…
E’ auspicabile, allora, che – intorno al tema, la psicologia dell’amicizia – si alimenti la curiosità, e arrivino pensieri nuovi, contributi e ricerche….
Tornando al programma di oggi, si intrecceranno alle relazioni dei colleghi, degli intermezzi musicali.
Ancora una volta nostro ospite, il gruppo musicale “ Lunettes lunaires” ha messo in musica i versi dei poeti francesi Rimbaud e Baudelaire. Un esperimento ardito, anzi forse davvero un po’ “lunatico” – e dunque in linea con la mattitudine di noi psicologi – ma in cui siete riusciti davvero, a mio parere, a raggiungere l’essenza della poesia maudit, inattingibile se non attraverso un linguaggio evocativo affine alla poesia, quello della musica…. “La parola poetica e la musica” scriveva Baudelaire “possono intendere il segreto delle cose, altrimenti mute”.
Ciò che conta non è solo quello che la poesia dice, ma la suggestione nata dalla trama dei suoni: per questo, penso che la vostra lettura in musica sia stata un’operazione coraggiosa e coerente, piena di rispetto, e molto bella.
L’indeterminatezza del verso poetico, il suo rifiutare legami con il discorso comune, il suo scardinare l’ovvio, il respingere semplificazioni e omologazioni, ci fanno amare e sentire vicini questi poeti visionari.
Così come il loro essere sempre intenti al viaggio – verso luoghi privi ancora di forma, cangianti, senza ancora un nome…
Il viaggio è metafora che accomuna, in questo senso, poesia e psicoanalisi.
E ci fa pensare che questo esperimento non sarebbe dispiaciuto a Giorgio Blandino.
Lascio ora la parola a Walter Machet.
Buon ascolto….