Oggi vorrei parlarvi di come la neutralità dell’analista nel lavoro con il paziente sia, ormai, un termine un po’ polveroso e obsolescente, o – almeno – sicuramente da rivisitare alla luce di quanto la psicoanalisi attuale dia spazio e valore al coinvolgimento, all’interno della coppia paziente/terapeuta. E ve ne parlerò facendo riferimento alla Teoria del Campo Analitico …
Partiamo dalla cosa più semplice: cominciamo a dire che cosa il Campo non è … il Campo analitico non è un luogo dove si muove e si snoda la vita mentale del paziente, mentre l’analista – mantenendosi ai margini di quel luogo – osserva, intuisce, comprende e quindi, attraverso l’attività interpretativa, trasforma il luogo stesso. Se così fosse, staremmo descrivendo una specie di acquario, al cui interno nuota il paziente e, dietro il vetro, siede attento e calmo l’analista … ma il luogo dell’analisi non è un acquario: l’analisi, nella prospettiva che vi sto proponendo, si svolge in un Campo, e il campo evoca l’immagine di un terreno – orto o giardino – dove si fatica in due a dissodare, seminare, irrigare e trasformare in raccolto. Oppure, in alternativa, evoca l’immagine di un campo di calcio, dove si gioca in due. Il movimento trasformativo – che da qualsiasi psicoterapia è legittimo aspettarsi – nasce quindi dalla relazione e nella relazione genera cambiamenti che, come vedremo, coinvolgeranno entrambi, terapeuta e paziente, se pure in modo diverso.
Il pensiero psicoanalitico ha preso da tempo le distanze dall’immagine dello psicoterapeuta e del paziente come soggetti separati da un immaginario vetro, e si è allontanato quindi dall’idea dell’analisi intesa come processo centrato sulle dinamiche intrapsichiche del paziente: sono stati Willy e Madeleine Baranger, psicoanalisti argentini, a utilizzare il concetto di Campo inteso “non come una situazione dove una persona è di fronte a un’altra, indefinita e neutrale, ma come una relazione tra due individui strettamente uniti, complementari e coinvolti nello stesso processo dinamico.” Questo, nel 1962, in Argentina. Da sessant’anni, quindi, la psicoanalisi si muove in questa direzione, ma da allora il modello teorico clinico di Campo ha ricevuto nuovi e profondi apporti, contaminandosi – grazie agli apporti di autori che, nel frattempo, avevano percorso altre strade: mi riferisco, in particolare, a Bion … ma è proprio nella psicoanalisi italiana che la concettualizzazione del Campo ha occupato e occupa un ruolo di primo piano, grazie ad autori quali Corrao, Bezoari, Ferro, Basile, Civitarese … mantenendo viva questa sua naturale predisposizione – come è stato scritto – al “meticciato”, all’incontro e all’intreccio creativo di saperi diversi … questo, in brevissima sintesi, il viaggio che ha fatto e continua a fare la teoria, che ora però lasciamo riposare, mentre vorrei lasciarvi, piuttosto, qualche suggestione …
Parlavo di gioco: e perché il gioco in seduta possa attivarsi, l’analista ha bisogno di collocarsi nello stesso luogo mentale abitato dal paziente, condividendone le emozioni e mettendo in gioco la propria risposta emotiva al conflitto inconscio che il paziente “gioca” nel campo. Lasciandosi contaminare da questi stati mentali che sono – e a lungo permangono – primordiali, indifferenziati, non ancora pensabili e rappresentabili.
In questo consiste la specificità tecnica straordinaria della teoria del Campo, che la distingue dalle altre teorie relazionali: il peso che viene dato alla fantasia inconscia di coppia. E se i pensieri che circolano nel campo non sono ancora pensabili, allora la mente del terapeuta dovrà per forza disporsi all’ascolto non solo dello sconosciuto pensatore che si trova di fronte, ma anche dello sconosciuto pensatore inconscio che abita dentro di lui, affrontando e tollerando, per tutto il tempo necessario, l’ignoto.
Non è facile avventurarsi in questi territori misteriosi, di confine, accogliendo emozioni, del paziente e proprie, che non sono ancora nate al pensiero e che – come scriveva Bion – sono alla ricerca di pensatori che le accolgano e le sappiano trasformare … perché questo accada, il nostro bagaglio teorico è indubbiamente importante, ma non sufficiente. Anzi, spesso può essere una difesa, e diventare un ostacolo al processo. E allora è il paziente – come ci dice Bion – a rivelarsi il miglior collega che l’analista possa avere: se davvero lo ascoltiamo e ci ascoltiamo, è lui a segnalarci la necessità del non situarci ai margini, ma dentro l’esperienza analitica.
Campo 1. Uno psicologo che somministra il test di Rorschach a una bimbetta (“Cosa vedi?” “Vedo un signore grande che mostra a una bambina il test di Rorschach”). Che cosa sta dicendo la bimbetta a questo psicologo, dall’aria piuttosto presa dal ruolo? Gli sta dicendo: “Scendi da quella poltroncina e vieni dentro! Non mi aiuta a stare meglio dire a cosa assomiglia una macchia nera sul foglio, attribuendole un significato che poi tu interpreterai! Ho bisogno di vedere te che giochi con me a fare le macchie nere! Per divertirci, o anche spaventarci, e magari alla fine capire, insieme, cosa vogliono dire…”
Senza nulla togliere all’utilizzo diagnostico del Rorschach, sono qui a ricordare che il rischio di tentare di “somministrare” il nostro sapere, le nostre intuizioni, le nostre competenze e le nostre credenze all’altro, è sempre dietro l’angolo … ed è questo rischio, che ci proponiamo di insegnare a evitare.
Quindi, stare nel Campo con il paziente non consiste nel “leggere l’altro” illudendoci di trasformare l’ignoto in verità rivelata attraverso i nostri strumenti di comprensione e interpretazione, ma significa allargare gradualmente lo spazio pensabile, tollerando di “non sapere” quel che ancora non è esplorato o esplorabile … eccoci, allora, arrivati a maneggiare questi misteriosi “pensieri non nati”. Nel Campo, infatti, si aggirano per molto tempo oscuri personaggi sotto forma di immagini, frammenti traumatici, fantasmi passati, schegge oniriche, sintomi … in effetti, credo di essere stata imprecisa, quando ho paragonato il Campo a un campo di calcio dove si gioca in due: in realtà, ce ne accorgiamo presto, non siamo mai soli. Si gioca in parecchi, come in qualsiasi partita di calcio che si rispetti … solo che in campo non ci sono squadre ordinate e ben definite, ma una certa mischia in cui numerosi e spesso bizzarri pensieri-giocatori entrano, si soffermano, generano trambusto, escono di scena e poi magari ritornano di prepotenza … in assenza di regole prestabilite. Forse rende meglio l’immagine della mischia di una partita di rugby!
Ho pensato, allora, di proporvi di giocare con un quadro, per illustrarvi cosa accade nel campo, nella folla di personaggi – pensieri non nati – che abitano la seduta del paziente e del suo terapeuta. Non parte come idea mia: il quadro di Velasquez “las Meninas” è stato proprio utilizzato come metafora per illustrare il concetto di campo. Ma io, partendo da questa suggestione, mi sono ulteriormente divertita a giocare con altre opere d’arte.
Campo 2 Immaginiamo che questo quadro sia la rappresentazione pittorica di quel che accade durante una seduta. Nel quadro compare l’Infanta di Spagna, che sembra raccontarci la sua giornata di principessa: è circondata da un gruppo di damigelle che si prende cura di lei, c’è una nana di corte, un bimbo che dà un calcetto dispettoso a un grosso cane … ma ecco un’altra dimensione, e quindi un’altra possibile narrazione: riflessi in uno specchio, in fondo alla stanza, ci sono i due genitori dell’Infanta … la bambina ci sta raccontando, allora, anche qualcosa della sua storia familiare. In secondo piano, il pittore. E, in primissimo piano, la tela su cui il pittore sta dipingendo. Sullo sfondo, una porta semi aperta, e un misterioso personaggio che scende le scale e si affaccia sulla scena …
Che cosa ha dipinto, Velasquez? Complessa e inquietante è la strategia delle posizioni dei personaggi e gli intrecci degli sguardi: chi è che davvero viene osservato e ritratto? L’obiettivo dell’artista è quello di dipingere un ritratto dell’Infanta, un ritratto dei reali di Spagna, o un autoritratto? E i sovrani riflessi nello specchio, sono appena giunti sulla scena, o sono in posa per il ritratto? E chi è l’osservatore? Lo spettatore che guarda il quadro? Ma lo sguardo dello spettatore, coincide con lo sguardo dei regnanti, dei bambini, del pittore, o con quello del misterioso personaggio? E cosa ci sarà sulla tela di cui noi vediamo solo il retro? La straordinaria bellezza di quest’opera, e l’inquietudine che suscita nello spettatore, sta proprio nel suo essere un intreccio polifonico e movimentato, e nella sensazione di insaturità che lascia nello spettatore: di quella tela noi vediamo il retro, ma che cosa davvero stia dipingendo Velasquez non ci è dato saperlo. Vediamo il pittore al lavoro, ma ci resta oscura la trasformazione che si sta compiendo.
Questo, è ciò che accade anche sulla scena analitica: molti personaggi si intrecciano e intrecciano le loro storie, e appartengono al mondo interno dell’uno e dell’altro, del paziente e dell’analista, definiti da Antonino Ferro, in uno dei suoi tanti felici giochi di parole, due autori in cerca di personaggi … E quello che da questa polifonia nasce, assomiglia al quadro non visibile: un pensiero sconosciuto che via via si fa strada e lascia nel campo una scia di suggestioni, di indizi che andranno a costruire una storia, anzi, molte storie possibili … seguendo vie mai lineari, ma associative.
E quali potrebbero essere queste vie non lineari, associative?
Ce lo spiegano, ancora una volta meglio dei libri di testo, numerosi artisti che nel corso dei secoli, incantati dal dipinto di Velasquez, lo hanno riprodotto, scomponendolo e trasformandolo, ciascuno alla ricerca – io credo – del proprio quadro non visibile, di una delle tante storie possibili …
A partire da Picasso, che realizzò ben 58 “las Meninas” diverse!
Del resto, in mezzo alla moltitudine di opere che riproducono il dipinto, io stessa ne ho scelto alcune che ora vi mostro in rapida sequenza, seguendo a mia volta una mia libera trama associativa, non lineare …
Campo 3 Picasso: qual è il vertice, qui? Ognuno di noi è libero di scegliere una strada, tra quelle che Picasso ci propone: a me colpisce il personaggio nel riquadro di luce, che mi sembra dare più rilievo al mistero e all’inquietudine generati dal personaggio sullo sfondo del dipinto di Velasquez … il vero uomo nero delle paure infantili …
Campo 4 Sempre Picasso: le mani, inquietanti. Aprono o chiudono? E le luci sul soffitto, come occhi che controllano dall’alto una scena in cui rosso e nero prevalgono …
Campo 5 Herman Braun-Vega: solo l’Infanta e la nana di corte sono vestite … il mondo intorno a loro è nudo. La delicata nudità del bimbo lo mette in primo piano, protagonista della storia. Un cane, al posto del personaggio misterioso …
Campo 6 Salvador Dalì: i numeri hanno sostituito igli esseri umani. Estrema simbolizzazione, o disumanizzazione?
Campo 7 Cristobal Toral, “D’apres las Meninas” è il titolo. Cosa resta dopo las meninas: valigie e scatoloni, alla rinfusa … e ancora lo sguardo del personaggio misterioso, che si posa sulla stanza trasformata in un desolato deposito di cose perdute. Sullo sfondo, sopravvive il riflesso allo specchio dei genitori dell’Infanta, ma della bambina, nessuna traccia …
Campo 8 Sophie Matisse: la stanza del dipinto perfettamente riprodotta e perfettamente svuotata da ogni forma di vita … dove sono andati tutti? Ingoiati in un buco nero, in una qualche voragine generata dal trascorrere dei secoli?
Ci siamo trovati di fronte, con queste tele, a una scomposizione dello spazio attraverso direzioni a volte cromatiche, a volte geometriche, a volte davvero soprattutto oniriche …
Per arrivare all’ultimo …
Campo 9 questa bellissima foto di Thomas Struth, fotografo tedesco, in cui las meninas sembrano essere saltate fuori dal quadro, scese nella sala del Museo del Prado!
Il Campo è anche questo: cioè la necessità di essere contemporaneamente dentro e fuori la fantasia inconscia di coppia analista-paziente. Il terapeuta deve farsi inglobare, fino a un certo punto, in questo gioco. Ma arriva il momento in cui la sua attenzione fluttuante dovrà lasciare il posto al secondo sguardo, consentendogli di interrogarsi sugli avvenimenti del Campo. Il nostro coinvolgimento nel gioco del Campo, non ci solleva infatti dall’impegno e dalla responsabilità nei confronti del paziente: altrimenti, ci troveremmo alle prese con un gioco di rispecchiamenti, privo della necessaria asimmetria che il nostro compito richiede. Il lavoro della coppia analitica deve generare qualcosa di nuovo, che consenta a noi, ma soprattutto al paziente, di comprendere meglio il suo mondo interno, e di trasformarlo.
Mi piace pensare, allora, che questo gruppo di ragazzine possa rappresentare il prodotto del lavoro svolto in seduta tra le due menti coinvolte … il risultato di tutto ciò che si è mobilitato in seduta è la nascita, infine, di bambine in carne e ossa: persone vive, autentiche: non più solo personaggi. Mi piace ancora pensare, allora, che queste bambine siano la rappresentazione della mente del paziente: di una mente che ora possiamo immaginare in via di trasformazione e in movimento, più viva, permeabile e disponibile al pensiero, e al nuovo …