IRENE MALASPINA, Rendere accessibile la complessità dei modelli

Buongiorno, oggi ho il compito di aprirvi metaforicamente le porte ed introdurvi in questo luogo di ricerca e di formazione -la Scuola di Psicoterapia Comparata- dove abbiamo l’ardire di provare a prenderci cura di un quello che pensiamo sia un desiderio di verità e autenticità nucleare nel cuore di ogni uomo e che siamo convinti abbia bisogno della lingua dei sogni per evitare di venire parassitato e corrotto dalle istanze di adattamento e controllo proprie delle personalità.

Già in queste poche parole stanno alcuni caposaldi di fondo di quella che è la visione propria di questa scuola. In questo breve intervento, mi pongo due obiettivi.

Il primo è di fare meglio luce su queste righe di introduzione, argomentandole a dovere, per mettere a fuoco e condividere con voi quali siano i punti di repere fondanti la nostra visione relativa all’uomo e alla sua cura.

Il secondo è spiegare come mai definiamo il nostro approccio “comparato”

Ma andiamo per gradi.

Prima cerchiamo di comprendere meglio quali siano gli assunti di base della nostra visione. Il primo enunciato che ho espresso è che noi partiamo dal presupposto che esista un desiderio di fondo nell’essere umano volto alla conoscenza del vero. Questo assunto non può essere dato per scontato senza spendere qualche parola in più. Basterebbe infatti guardarsi intorno per vedere quanto sia facile per gli esseri umani farsi prendere per il naso da un sistema tecnocratico mercantile che genera falsi bisogni, sotto l’assunto che la felicità dipenda dall’avere e non dall’essere, per poi mettere ognuno di noi ai lavori forzati per mantenere un ritmo folle di consumo che sta distruggendo il mondo in cui viviamo. In che senso, allora, osiamo affermare che nel cuore di ogni uomo esista un impulso epistemofilico volto alla verità? Siamo forse dei folli sognatori o dei romantici dinosauri che non hanno mai smesso di credere nelle favole? Beh, ecco, il dubbio è lecito, ma a sostenerci in senso teorico e tecnico stanno 120 anni di psicoanalisi che ci hanno messo nella condizione di esplorare la natura profonda delle mente umana, scoprendone la struttura composita. Quello a cui ci rifacciamo alla radice del nostro immaginare l’uomo è la visione inaugurata da Freud alla vigilia del ventesimo secolo, che, mandando in pezzi ciò che restava della fiducia illuminista nell’Io e nelle sue capacità di alimentare un progresso tecnologico a servizio del bene comune, ha descritto senza sconti la natura conflittuale dell’essere umano; guardando dentro alle profondità della mente, egli ha minato, infatti, la pacificante credenza che per poter essere delle buone persone, capaci di collaborare per il bene comune, basti volerlo. Due guerre mondiali, con tutti i loro orrori, e la sensazione di essere andati ad un soffio dall’autodistruzione di massa, hanno portato la visione freudiana a diffondersi molto profondamente e molto rapidamente, impregnando di sé il comune sentire. Per quanto non sia facile per nessuno ammetterlo, egli ha gettato una luce che rende difficile non vedere quanto l’uomo sia abitato da istanze virtuose ed altre distruttive, che si confrontano e si scontrano lungo tutto l’arco della vita di ciascun “nato mortale”. Ognuno di noi può sperare di acquisire un po’ di libertà e di autodeterminazione solo se si rende faticosamente consapevole della quota di ombra che lo abita e impara a farci i conti. Il secondo schiaffo alla visione moderna della realtà Freud lo assesta mostrando come, per indagare l’intimità che ci abita ed imparare a disciplinarla, occorre aprire le porte ad un funzionamento della mente diverso da quello che utilizziamo durante lo stato di veglia. Egli scopre, infatti, che è necessario invitare una certa “regressione dell’Io” ed indurre uno stato di coscienza lievemente alterato per poter accedere, per via analogica ed immaginifica, a quello che si agita nelle profondità dell’animo umano.

Quindi, per ricapitolare, la nostra scuola si riferisce ad un essere umano immaginato come strutturato in modo composito ed abitato da forze antinomiche. Ritiamo, altresì, che per accedere ad una forma di libertà e responsabilità che ci permetta di intelligere il mondo e fare del nostro meglio nei confronti di noi stessi e dei nostri simili, sia necessario aprirci ad un modo di usare la mente non ordinario ed imparare il linguaggio dell’analogia e delle associazioni.

Questo è il cuore centrale dell’assunto epistemologico da cui partiamo. Essendo questi i presupposti della psicoanalisi classica, sia per quanto riguarda la teoria che la tecnica, ci sentiamo di dire che in questo luogo vengono formati dei terapeuti ad orientamento psicoanalitico.

 

Ora veniamo al secondo punto: se quanto detto fino ad ora è vero, come mai la scuola di definisce “comparata”? La risposta a questa domanda risiede nell’idea che per comprendere l’umano e il problema del dolore e del senso, sia necessario riferirsi a diversi modelli epistemologici, posti su vari livelli gerarchici. Per usare un’immagine guida, possiamo pensare agli antichi modelli cosmologici geocentrici, rappresentati in modo tridimensionale negli astrolabi medioevali. Mi spiego meglio; immaginiamo una serie di sfere concentriche. Al centro sta il nostro core teorico-tecnico. Essendo una scuola che cerca di formare dei clinici, abbiamo scelto di partire da un modello nucleare che risponda al problema del dolore mentale. A questo livello, come detto, abbiamo individuato nella psicoanalisi il nostro migliore alleato, perché pensiamo sia il contributo occidentale più articolato e profondo per indagare e provare a risolvere le conflittualità che stanno al cuore di ognuno di noi.

Al secondo livello di questa gerarchia di sfere sta l’indagine di come gli esseri umani si relazionino tra loro nei gruppi e nelle istituzioni. Per approfondire questi aspetti, durante il percorso formativo della scuola, proponiamo molte ore di lavoro in gruppo di tipo esperienziale, utilizzando diversi modelli teorico-pratici tra cui la gestalt e lo psicodramma, che permetteranno all’allievo di osservare in presa diretta le dinamiche che si attivano quando un gruppo di persone si pone un obiettivo per cui sia necessario collaborare. Non penso di fare nessuno spoiler se dico quanto questa presa di coscienza, ottenuta mettendosi in gioco in prima persona, ponga in evidenza i conflitti e le difese che, come bucce di banane, portano spesso all’impantanamento anche dei migliori progetti comunitari. A questo livello del nostro lavoro con gli allievi, i modelli relativi al mondo intrapsichico vengono posti in tensione dialettica con quelli più sistemici, sviluppati meglio da altri orientamenti, che descrivono e aiutano ad imparare a gestire le dinamiche nei gruppi.

Ad un terzo livello cerchiamo di riflettere su come la psicoterapia si relazioni alle altre scienze mediche per la cura della salute. Su questo piano, il discorso si sposta sui diversi modelli di malattia mentale, sulle risorse della sanità, sulla necessità di sviluppare un linguaggio scientifico capace di parlare con le istituzioni. Per fare luce su questo, alcuni colleghi mostreranno diversi sistemi diagnostici utilizzati per definire i disturbi psichici in uso nel mondo medico-scientifico e gli strumenti di ricerca atti a raccogliere e descrivere in modo confrontabile il lavoro di uno psicoanalista, qualora si dovesse relazionare con altri attori del teatro medico-sanitario-legale-amministrativo.

Un ultimo livello di indagine è quello di inserire il lavoro clinico per la trasformazione del disagio personale in un quadro di senso più ampio che chiami in causa gli interrogativi dell’uomo circa il senso del suo effimero transito terreno. Il tentativo non è dei più semplici e, come ovvio, la parola va data ai filosofi e ai poeti, che hanno interpretato meglio di qualsiasi altro le difficoltà e l’eroismo necessario all’essere umano per vivere accompagnato dalla consapevolezza della propria mortalità. Riteniamo che questa ampiezza di riflessione, per quanto vertiginosa e quindi mai indagabile in modo esaustivo, sia quanto mai necessaria in un tempo di crisi come questo in cui, se l’uomo non vuole estinguersi, ha bisogno di invertire la rotta su molte questioni di fondo su cui si verificano vere e proprie emorragie di senso e di risorse.

 

Concludo con queste parole il mio intervento, nella speranza di aver dato una fotografia generale, anche se certamente non dettagliata, della visione di fondo che sostiene la nostra passione nel fare crescere e formare colleghi chiamati al compito di mettere a dimora la loro energia per la propria crescita personale e quella di chi gli si rivolgerà in cerca di sostegno ed ispirazione, onde coltivare il sogno di una umanità capace di contenere e trasformare le istanze distruttive della mente. Ci auguriamo che provare a sviluppare, affinare, praticare ed insegnare strumenti così vari e complessi renda l’idea di un possibile sviluppo della capacità di collaborazione sinergica e creativa tra esseri umani qualcosa di meno di una sciocca chimera.