di Antonina Nobile Fidanza
fonte Studia Miscellanea, Grafica 7 Ed., Genova 1981
Queste note hanno il proposito di esporre alcuni problemi inerenti le concezioni sociologiche della conoscenza, in particolare i rapporti tra la filosofia e la sociologia da un lato, …
Queste note hanno il proposito di esporre alcuni problemi inerenti le concezioni sociologiche della conoscenza, in particolare i rapporti tra la filosofia e la sociologia da un lato, tra quest’ultima e le scienze naturali dall’altro e quindi la struttura metodologica della sociologia e il suo proporsi come scienza che si prefigge una conoscenza non settoriale della realtà; in un dibattito tra analitici e dialettici che ha forse la sua attualità proprio in un momento in cui l’esigenza di interdisciplinarità si scontra con l’incerta fondazione delle scienze ed in particolare di quelle umane.
Si accennerà brevemente al sorgere della sociologia, al suo staccarsi dalla filosofia e alla consapevolezza, con la sociologia del sapere, dei condizionamenti sociali che influiscono su ogni tipo di conoscenza. Si vedrà, quindi, la posizione analitica e dialettica (nel pensiero rispettivamente di K. Popper e T.W. Adorno) esaminando più da vicino la struttura metodologica che la sociologia ha assunto.
Nella tradizione filosofica la dottrina di una società giusta è una costante da Platone a Hegel. La stessa ricerca metafisica nasce dalla necessità di far derivare le norme dell’ordinamento sociale da idee assolute che rappresentino il dover essere a cui tendono l’uomo e la società. La sociologia, che nasce con Comte, differisce dalla filosofia della società non tanto per l’oggetto, quanto per la concezione e il metodo. Come le scienze naturali tende infatti a liberarsi dal finalismo implicito nella filosofia per osservare, classificare, cercare nessi causali nei fenomeni sociali. L’aderenza ai fatti, la positività scientifica finisce con il rinunciare alla trasformazione della realtà che la filosofia cercava con la teorizzazione del dover essere.
Con lo storicismo, che riconosce un nuovo concetto di verità nella dipendenza del pensiero dalla storia, si apre un capitolo nuovo nella ricerca storica e sociale. Contro Hegel e Marx nasce l’esigenza di elaborare metodologie non sorrette da principi metafisici e autonome dalle scienze naturali, che non prescrivano un ordine allo svolgimento storico sulla base di uno schema logico o dialettico. (4) La concezione nuova che la sociologia del sapere, con K.Mannheim, fa sua e cerca di sviluppare è che la conoscenza subisce l’influenza dei condizionamenti storico-ambientali. Gli obbiettivi che si pone la nuova ricerca sono: analizzare le relazioni sociali tra le teorie e le forme del pensare, elaborare i criteri operativi per determinare i rapporti tra pensiero e azione, sviluppare una teoria che riconosca l’importanza che i fattori non teoretici hanno nel sapere.
Mannheim considera la sociologia della conoscenza come il concetto totale di ideologia contro quello parziale di Marx. Nella ricerca di ciò che influenza la conoscenza e la determina sta la pretesa di priorità rispetto ad ogni tipo di indagine sociale che si può scorgere nella sociologia del sapere (2).
Passando a considerare i due indirizzi in questione, l’analitico di origine scientifica e il dialettico di origine filosofica, possiamo dire che, mentre entrambi giudicano ormai superata la necessità della filosofia, si propongono tuttavia di fondare una conoscenza della realtà di stampo sociologico, che sia per quanto possibile esauriente ed adeguata. La differenza sostanziale tra le due concezioni è così sintetizzata da R.Dahrendorf: “Mentre Adorno ritiene possibile riprodurre nel processo cognitivo la stessa realtà e quindi conoscere ed usare un apparato categoriale inerente all’oggetto, per Popper la conoscenza è sempre un problematico tentativo di cogliere la realtà imponendole categorie e innanzitutto teorie.” Il riferimento ad Hegel e a Kant è quindi ovvio (1).
Si sono scelti alcuni temi su cui maggiormente divergono le due posizioni e si sono posti in contraddittorio per giungere ad una conclusione problematica e che sposta il problema sulla scelta come decisione etica. Il rapporto che lega strettamente la sociologia alla filosofia, da cui essa sorse, è ammesso da entrambi gli autori, poiché ambedue fanno del momento speculativo e teoretico il momento essenziale. La sociologia non è: “un ramo nell’albero della scienza, e non vi è quasi oggetto che si sottragga all’indagine sociale. Non c’è assoluto divario tra sociologia e storia, tra sociologia ed economia, tra sociologia e psicologia, poiché la conoscenza totale della società implica tutti questi momenti che vi devono essere compresi.” (1)
Se per Popper la filosofia ha compiti eminentemente epistemologici, per i dialettici essa non deve farsi prescrivere i propri compiti dalla divisione del lavoro intellettuale, non deve cioè essere sintesi, base o coronamento della scienza, ma lo sforzo di resistere alla suggestione che tutto stia così e non altrimenti, la filosofia deve essere la decisione della libertà intellettuale e reale.
Si passa così al rapporto tra sociologia e scienze naturali. Anche questo è un tema problematico poiché, per Popper, si è caduti nella assoluta relatività storica, nel momento in cui si è trasportato il metodo delle scienze naturali (induttivo) nelle scienze sociali col fine di raggiungere una certa obbiettività. È necessario quindi capovolgere l’ottica scientifica (cioè partire, anziché dalle osservazioni, dalle teorie). In questo modo le scienze, in quanto teoretiche, cioè che sottopongono a critica asserzioni universali, avrebbero una metodologia omogenea che consisterebbe nello sperimentare tentativi di soluzione su problemi che sono il punto di partenza della ricerca.
Per Adorno c’è una differenza tra la sociologia e le scienze naturali che pur non essendo “essenziale è ineliminabile”. L’oggetto delle scienze naturali non è mediato, quindi l’apparato categoriale può essere liberamente scelto, mentre per la sociologia l’oggetto è determinato in se stesso, mediato storicamente tanto da imporre categorie in grado di coglierlo. Pertanto Adorno non accetta il concetto di critica adoperato da Popper (cioè se la soluzione proposta non è formalizzata essa viene scartata).
Tale critica infatti si propone come falsificazione da parte dei cosiddetti fatti, e quindi per Adorno si ricade nell’osservazione e si priva la sociologia del momento di anticipazione che le è essenziale. In quanto l’oggetto sociale è mediato, la sociologia deve cogliere la realtà dietro la facciata e quindi può essere contraddetta dai fatti senza per questo essere falsificata. Quindi per Adorno le teorie non sono ipotesi da verificare, la teoria è lo scopo non il mezzo della sociologia. Quindi analitici e dialettici si scontrano sul punto nodale del rapporto tra esperienza e teoria. Per gli uni la teoria è un passo della conoscenza ipotetico-deduttiva che si accetta fintanto che non sia falsificata, per gli altri essa è il momento speculativo che si adegua alla realtà sociale anticipando il concetto di totalità che può spiegare i nessi sociali anche contro l’esperienza. Mentre per gli analitici se le teorie sono schemi ordinatori costruiti in una cornice sintatticamente vincolante e da sottoporre a critica, una teoria generale della società sarebbe quella di un sistema come connessione funzionale di regolarità empiriche con carattere ipotetico secondo la connessione deduttiva delle funzioni matematiche.
A questo punto è chiaro che anche il concetto di esperienza è discutibile per i due indirizzi. Se per entrambi i punti di vista la funzione dell’esperienza nel rapporto con la teoria è critica cioè di verifica della teoria, tuttavia per gli analitici il concetto di esperienza è ristretto all’osservazione controllata dei fatti, che non deve però condizionare nel suo processo la formazione della teoria. Per i dialettici, per contrasto, l’esperienza è quella prescientifica, accumulata storicamente che guida l’ideazione della teoria, che poi deve risultare esatta alla luce dell’esperienza particolare, che non è ovviamente costituita dai fatti immediati, ma dalla loro mediazione oggettiva (cioè la preformazione storica e sociale, che è diversa dalla mediazione soggettiva, cioè dal momento conoscitivo).
Dove sta dunque la verità in sociologia? Un’asserzione, afferma Popper, è vera se corrisponde ai fatti e quindi la logica deduttiva è la teoria del trasferimento della verità dalle premesse alle conclusioni, e retroattivamente dalle conclusioni alle premesse. La logica dialettica invece non segue il principio di non contraddizione, poichè questo è un principio del pensiero e non si può a priori pensarlo inerente all’oggetto; la dialettica intende rispettare l’oggetto anche dove questo non segue le regole del pensiero. Il pensiero infatti non deve farsi limitare dalla propria normatività, poiché ha la capacità di pensare anche contro se stesso, senza per questo dover rinunciare ad essere razionale. Nelle scienze umane la corrispondenza ai fatti non è garanzia di verità, perché il fatto non è realtà ultima ma frutto di mediazione.
Il relativismo che vede il concetto di verità determinato storicamente e socialmente, non ha colto che lo stesso concetto di verità si è progressivamente e oggettivamente deteriorato per l’aumento progressivo della mediazione.
Che la verità non sia un concetto oggettivo, ma che esista una verità per questa o quella epoca, per questa o quella classe sociale, è messo in dubbio anche dagli analitici. Popper dice che è errato credere che l’oggettività della scienza dipenda dall’oggettività dello scienziato, come sembra proporre in modo soggettivistico la sociologia del sapere, o che chi si occupa di scienze naturali sia più oggettivo di chi si occupa di scienze sociali. L’oggettività della scienza risiede nella tradizione critica, cioè nella possibilità sociale della critica reciproca. Mentre per la sociologia del sapere infatti, la prospettiva dello scienziato è determinante per la sua oggettività individuale, la libera critica fa scomparire il problema del punto di vista e fonda l’oggettività scientifica su categorie sociali come la concorrenza, la tradizione, le istituzioni, il potere statale (cioè il grado di tolleranza).
Dall’altra parte per i dialettici l’oggettività è tutt’uno con la realtà totale che, se è compresa, si identifica con il soggetto. Ovvero l’oggetto della conoscenza è mediato dal soggetto, ma anche viceversa, il soggetto conoscente costituisce un momento dell’oggettività sociale che si intende conoscere. Popper obbietta che non è possibile raggiungere una oggettività assoluta ed essa resta un valore a cui ci si può approssimare come la verità. Si pone così il problema della avalutabilità dello scienziato che da parte analitica si risolve sostituendo a tale esigenza quella della scoperta dei diversi valori che entrano nella scienza e di distinguere quelli puramente scientifici (verità, rilevanza, semplicità) da quelli extrascientifici che si devono accantonare.
La separazione di comportamento valutativo e comportamento avalutativo è un falso problema per Adorno, infatti il valore è un dato storico dovuto alla separazione dei mezzi dai fini per un più completo dominio della natura e mentre la razionalità dei mezzi è progredita, l’irrazionalità dei fini non è diminuita, e poiché il valore si è formato nel rapporto di scambio quando l’essere-per-altro è diventato in-sé a poco a poco, quindi si connota come falso. La sociologia dunque deve divenire cosciente della propria antinomicità dovuta all’alternanza di avalutabilità e richiamo a valori più o meno arbitrari. L’antinomia di essere e dover essere non può essere ignorata, dato che il compito della sociologia è in sintesi la concezione di una società giusta, da non contrapporsi però a quella reale come un valore. Tale concezione deve scaturire dalla critica e cioè dalla consapevolezza della società delle proprie contraddizioni. Infine Popper conclude che il poter criticare razionalmente la teoria sebbene non la si possa giustificare razionalmente né dimostrarne la probabilità è l’unica possibilità della scienza. Ciò vale non solo per le teorie ribattono i dialetici, ma anche per la stessa società, perciò si ribadisce l’importanza del concetto di totalità come concetto critico che permette la conoscenza delle società mettendone in luce le contraddizioni di fondo oltre l’apparente realtà di fatto.
Per concludere dunque le due concezioni esposte per punti contraddittori pur avendo gli stessi obbiettivi, cioè fondare le scienze sociali, in modo che si possa dare una conoscenza della realtà sociale, sono inconciliabili e accettare l’una o l’altra posizione come è dichiarato esplicitamente dai due studiosi è lasciato alla decisione etica e politica.
I fraintendimenti dell’una e dell’altra parte infatti non sono pure questioni di linguaggio, nel senso che ci si possa accordare sui significati. Per i dialettici infatti il linguaggio è sostanziale e non un elemento formale, così essi non possono confrontarsi con gli analitici, o se lo fanno è per far sorgere le interne contraddizioni dei fautori del principio di non contraddizione. Poiché dunque a fondamento della teoria ipotetico-deduttiva sta l’intuizione soggettiva che però resta esterna alla teoria, cosa che i dialettici giudicano non scientifica, la teoria dialettica potrebbe rappresentare un arricchimento rispetto a quella analitica appunto facendo rientrare nell’oggetto della scienza, rivalutandola, l’esperienza prescientifica accumulata storicamente.
Riferimenti bibliografici
(1) T.W. ADORNO, K.R. POPPER e altri, Dialettica e positivismo in sociologia, Einaudi, Torino, 1972
(2) T.W. Adorno, Prismi, Eianudi, Torino, 1972
(3) K.R. Popper, La logica della ricerca scientifica, Einaudi, Torino, 1970
(4) ISTITUTO PER LA RICERCA SOCIALE DI FRANCOFORTE, Lezioni di Sociologia, Einaudi, Torino, 1966