commento di Maurizio Lo Faro
fonte La Stampa
La notizia
Allarme tra i ragazzi francesi. Il gioco mortale del sogno blu. “L’ultimo l’hanno seppellito lunedì, a Seingbouse, Mosella. C’erano i suoi compagni di scuola, il sindaco, la sua insegnante che ha detto poche parole: “Era un ragazzo molto buono: chi poteva immaginare?” E invece l’ha fatto: aveva 12 anni, l’hanno trovato quasi appeso al letto, nessun messaggio. Suicidio? No, “le reve blue, il sogno blu…
La Stampa, 4 dicembre 2002
Il commento
L’articolo continua descrivendo come accada che alcuni adolescenti si stringano attorno al collo un foulard, una cintura, uno straccio, qualsiasi cosa possa servire come ponte verso uno stato vissuto come paradisiaco: il respiro si blocca, il cuore si ferma, il cervello si annebbia, la coscienza vacilla in una specie di flash e intanto si vede cosa c’è dall’altra parte e si torna a raccontarlo. Quando si torna.
Da queste brevi frasi sembra percepirsi il tentativo di recupero di una dimensione lontana; possiamo pensare all’ “anima”, che viaggiando a ritroso torna in una sorta di paradiso perduto; l’esperienza sarà poi comunicata a pochi eventuali eletti, coloro che hanno assistito e aiutato il prescelto nel suo viaggio.
Ora, l’ “anima” in una lettura simbolica non strettamente cristiana può essere considerata come il contenitore delle emozioni, degli affetti, dei sentimenti; è attraverso essa che percepiamo, sentiamo, amiamo e soffriamo. Ci si può chiedere, allora, se i ragazzi che sentono il bisogno di provare delle sensazioni così laceranti e così dolorosamente intense e vicine alla morte, non lo facciano a causa del loro sentirsi come anestetizzati, funzionare come se non riuscissero a trovare la manopola dell’intensità delle loro emozioni e degli affetti.
Come suppellettili, oggetti contingenti, possono accorgersi che il mondo intorno a loro si muove, che il tempo passa, le cose cambiano, alcune persone provano qualcosa per altre, ci si ama, si gioisce, si soffre…
Essi, invece, possono sentirsi ancorati a terra, impossibilitati anche ad urlare la propria disperazione e il proprio bisogno di affetto e aver perso la speranza di provare, un giorno, qualcosa che possa risvegliarli da questo torpore.
Un’esperienza come il “sogno blu” può allora scuotere colui che può percepirsi come un ragazzino inutile ed impotente, ci si può sentire per un momento fuori dal passato reale e senza preoccupazione per il futuro: i muri crollano, l’orizzonte si allontana; ci si perde nell’infinito. Il sole sembra esistere per riscaldare solo il soggetto che turbina immobile fino ai confini della Terra; non più una coscienza vacante, uno sguardo astratto ma l’evaporare nell’azzurro, non avere più confini…
La ricerca di un’ “anima” siffatta che contenga le emozioni di cui ci si sente deprivati si trasforma però nel ritrovarsi con un’anima dannata che costringe la persona ad avvicinarsi sempre di più alla morte nel tentativo paradossale di non sentirsi morti.
Un viaggio a ritroso così artificiosamente costruito ci fa pensare alla nostalgia di qualcosa: prima di venire in questo grande mondo, ognuno di noi è stato in un altro mondo, il grembo materno e ciò ha creato nell’animale-uomo un desiderio fusionale struggente di recuperare la precedente vita vegetativa. In questa vita non vi era respiro e immerso nel liquido amniotico il feto provava la sensazione onnipotente di nuotare in un azzurro oceano, si tuffava nel bene più profondo e nel sonno più riposante. Lo stato intrauterino può, a ragione, essere rappresentato come il bene totale; la sua condizione viene, però, spezzata dall’evento della nascita e la separazione può suscitare un sentimento di mancanza e un desiderio di ricongiungimento. Quest’ultimo viene nostalgicamente ricercato nei rapporti affettivi: attraverso gli affetti e l’espressione della sessualità esiste la possibilità di vivere con la persona amata quell’unità fusionale che sembra perduta per sempre ma che esiste come speranza di poter dare e ricevere amore che è contenuta nell’ “anima”.
Se le esperienze affettive di un essere umano sono tali da non realizzare il suo desiderio d’amore egli potrà sentirsi impotente, impossibilitato a vivere le connotazioni emotive di ogni rapporto che vivrà: la sua “anima” svuotata da ciò che gli è essenziale sentirà il bisogno onnipotente di ricongiungersi con un paradiso perduto artificiale. L’onnipotenza sarà vissuta nel bisogno impellente di rivivere la fusione originaria con la madre: ma l’inganno mortale si esprimerà attraverso un intrappolamento; ciò che dà questa sensazione: la mancanza d’aria, il senso di soffocamento, il brivido che frantuma ogni barriera è quello che trascinerà il soggetto verso una discesa agli inferi senza ritorno, nell’illusione di essere forti poiché si decide anche l’attimo della propria morte.
Chi poteva immaginare? Già: dei ragazzi nessuno si immagina mai niente.