commento di Antonina Nobile Fidanza
fonte Il Sole 24 Ore
La notizia
“Cinque miliardi per la cultura”. Più mezzi per i beni culturali. “La legge Finanziaria prevede di destinare al settore il 3% degli investimenti dello Stato per le infrastrutture del Paese -spiega il Ministro Giuliano Urbani -. E’ la prima volta che in Italia accade una cosa del genere e, se la legge passerà all’esame del Parlamento, si può calcolare che nei prossimi otto anni saranno disponibili almeno 5 miliardi di euro per monumenti e luoghi archeologici, una cifra più che doppia rispetto al passato.”
Il Sole 24 Ore, 23 novembre 2002
Il commento
Che bello! Mi verrebbe da commentare a caldo. Finalmente ci rendiamo conto a livello governativo dell’importanza di prendersi cura del patrimonio artistico italiano. La lettura dell’articolo, decisamente elogiativo dell’iniziativa, mi incuriosisce, sia perchè è su “Il Sole 24 ore”, sia perchè sembrerebbe una lodevole proposta sostenuta esclusivamente dal mecenatismo e dalla filantropia dei privati.
Ci sarà un vantaggio economico? Per il Ministro non deve esserci, almeno in via diretta. “Non voglio mercanti nel tempio -ha tagliato corto Urbani- l’unico obiettivo a cui deve mirare un privato è il prestigio che, la storia insegna, porta sempre dei ritorni indiretti: sarebbe sbagliato guardare alla cultura con una mentalità mercantile”. Excusatio non petita accusatio manifesta, direbbe un collega. Infatti al di là della gestione delle biglietterie e delle librerie è la detassazione senza limiti per i capitali investiti nel campo dei beni culturali, che sicuramente non passerà inosservata a Banche e Imprese.
Poiché tuttavia io non mi intendo di economia né, in modo particolare, di arte mi chiedo perché sono stata attratta da questo articolo.
Cosa tocca sul piano emotivo questo tema della salvaguardia dei beni culturali?
Nientemeno che il tema molto complesso e delicato della bellezza e della memoria.
Spesso la memoria è scomoda oppure facilmente la si perde in un rimaneggiamento continuo da “1984”, dove impera il Grande Fratello che, prima di un tormentone voyeuristico televisivo era il l’occhio onnipresente di un romanzo sulla negazione della storia e del tempo, a fini di dominio e potere sulle menti ingenue dei cittadini di quel paese felice.
D’altro canto la bellezza può generare sconcerto, timore reverenziale o invidia distruttiva. In psicoanalisi il conflitto estetico da una parte e la costruzione e ricostruzione continua della memoria sono due temi cruciali.
Il rapporto con la bellezza dell’opera d’arte (che ha il suo fondamento nella contemplazione estatica dell’oggetto primario) genera nel fruitore da un lato la speranza di vedere la propria interna bellezza specchiata, dall’altro il timore di confrontare la propria disintegrata realtà interna con la perfezione restandone schiacciato.
Quindi il singolo può esporsi a suo piacimento o evitare l’impatto con l’arte a seconda della sua modalità difensiva.
Nel momento in cui un’ottica economica investe il patrimonio dei beni culturali di un paese, quale l’Italia, che abbonda di vestigia storiche ed artistiche, è probabile che sia necessaria la pubblicizzazione sempre più vasta del ‘prodotto’ culturale. Per cui la sensibilità del fruitore viene guidata, ma non per questo stimolata correttamente rispetto a tutti i dati necessari per rendere più complesso e differenziato il godimento estetico.
Si può giungere facilmente o all’imbarbarimento del gusto o al vandalismo quando l’attesa conflittuale con cui ci si accosta all’arte, si scioglie, e perverte il significato del rapporto tra mondo interno e realtà esterna. Per cui è buono e idealizzato ciò che è interno foss’anche violenza e distruttività ed è cattivo e minaccioso ciò che è esterno anche la statua immobile o un dipinto appeso.
L’Idealizzazione dell’Italia come paese dell’arte da parte di inglesi e tedeschi è ormai datata ma mi piace ricordare una psicoanalista Paula Heimann che scrive: “Era sera, mi trovavo a Venezia, la luce era fantastica; l’imponente palazzo del Doge appariva come un velo fatato senza sostanza, fluttuante nell’aria, una visione da togliere il fiato. Né prima né dopo ho mai visto una luce simile. Tra le varie persone che passeggiavano lungo il Canal Grande c’era una giovane coppia e il padre teneva tra le braccia il bambino, felicemente addormentato, con la testa posata sulla sua spalla. Ho pensato che questi bambini erano destinati a cogliere la Bellezza nei loro sonni, al sicuro nella comunanza con i loro genitori, e l’amore per la Bellezza dell’Arte e della Natura diventava una parte integrante della loro crescita psichica.”
Questa visione romantica dell’iniziazione degli italiani alla Bellezza può oggi sembrare ingenua, ma è comunque lusinghiera. Essa dipende da un particolare modo di concepire il rapporto col bello in psicoanalisi.
La capacità di contemplare la bellezza dipende dalla possibilità di considerare la bellezza del proprio funzionamento psichico, tra inconscio senza tempo e realtà che scorre nella storia. La psicoanalisi, che è sostanzialmente un lavoro sulla memoria, ci insegna a destreggiarci alternativamente tra ‘l’eterno presente’ della nostra vita interiore e la tragica clessidra che ci ricorda la nostra finitezza. Freud ci mise decenni prima di potersi davvero accostare alla visione di Roma, città non a caso detta eterna, con la sua compresenza di tutte le epoche storiche e la angosciante consapevolezza che quello che c’era non c’è più, e pure qualcosa è ancora lì.
Nella soluzione per la salvaguardia del patrimonio artistico del nostro paese elogiata dal “Sole 24 Ore”, si dichiara implicitamente l’insufficienza della tutela pubblica. Del resto il cittadino italiano medio, pur immerso in cotanta bellezza, poco si preoccupa se la “buona” soluzione politica sia più o meno vicino alla verità delle esigenze di tutela o non sia un buon modo di prendere due piccioni con una fava. Pubblicizzare, da un lato, non tanto le bellezze artistiche bensì la “bontà” di Banche e Imprese che devolvono parte del loro “sudato” patrimonio per elevare lo spirito dei cittadini. Dall’altro creare Fondazioni quali serbatoi di capitali non tassabili con un evidente profitto indiretto.
Senza demonizzare la privatizzazione di tutte le risorse del nostro paese, forse c’è da chiedersi se di compromesso in compromesso non si rischi dei perdere del tutto la capacità di considerare Bello ciò che anche Vero, nella corrispondenza tra interiorità ed esteriorità.
Tale rischio si potrebbe configurare nell’appiattimento del gusto per cui la quantità sostituisce la qualità e, contemporaneamente, nella desensibilizzazione all’arte per cui nulla ci arricchisce davvero confermandoci la bellezza del nostro funzionamento psichico, perché semplicemente non lo sappiamo; altra propaganda ci parla di geni, neuroni ecc. che ci governerebbero a nostra insaputa togliendoci la più delicata delle nostre funzioni la capacità di godere della bellezza.