commento di Maurizio Lo Faro
fonte La Repubblica
La notizia
Nell’articolo: ”Nuove tecnologie, privacy a rischio” Stefano Rodotà, Garante per la tutela dei dati personali lancia l’allarme nei confronti delle nuove tecnologie che mettono sempre più a rischio il diritto individuale alla privacy.
Il Secolo XIX, Mercoledì 18 luglio 2001
Il commento
Da tempo, ormai, ci giunge l’allarme di quanto la nostra vita privata stia diventando sempre meno tale. Le notizie, in questo senso, arrivano da fonti diverse e sembrano turbare la nostra tranquillità: “Centinaia di migliaia di sistemi di controllo a distanza sono già operanti – ha ricordato il Garante – cresce in maniera esponenziale il ricorso a test genetici e crescono le pretese di assicuratori e datori di lavoro per utilizzarli nel valutare chi chiede un’assicurazione o un’assunzione.
Quindi, non solo ciò che accade qui ed ora, sembra venire meno alla tutela di uno spazio privato, ma la pretesa è anche quella di “predire”, al nostro posto, attraverso gli strumenti di un determinismo genetico, come ci comporteremo dal punto di vista professionale o se saremo predisposti a determinate malattie piuttosto che ad altre.
In altre parole, la vita pare non appartenerci più; laddove la crescita e l’evoluzione di ognuno, per quanto carica di responsabilità – o proprio per questo – apriva l’orizzonte alla libertà, alla scelta ed alla possibilità di dare un indirizzo alla nostra esistenza. Ciò poteva riempire di solitudine la nostra vita: essa dipendeva da noi e noi soltanto potevamo decidere che indirizzo darle, ma il dialogo con l’altro veniva vieppiù accresciuto dalla sensazione di essere individui con una propria identità.
Quest’ultima può svilupparsi soltanto se abbiamo uno spazio interno ed esterno sufficiente nel quale confrontarci con i nostri bisogni, limiti e capacità; un luogo riservato dove porre le esperienze che via via facciamo, sicuri che saranno conservate senza essere distrutte.
Ora, invece, tale identità ci sembra negata: “si restringono gli spazi vitali delle persone, continuamente esposti a sguardi e messaggi indesiderati, ormai incapaci di godere di intimità, obbligate a vivere in pubblico, sottoposte ad un’implacabile registrazione di ogni atto anche quando si fa una passeggiata o si fa la spesa al supermercato.”
Questo ci porta a riflettere su diversi livelli: ad un livello che potremmo definire più “arcaico”, sentiamo che un’entità misteriosa, nel momento che ci controlla e non ci lascia spazio,attiva in noi il fantasma di un genitore che vuole impedirci di acquisire un’identità e di crescere,facendoci sentire come bambini non ancora separati da una madre onnipotente. Una madre che pretende di sapere tutto di noi, che ipoteca il nostro futuro e a cui non siamo in grado di mentire.
Inglobati da una tale figura che ha bisogno di controllare ogni cosa – e che attraverso questo denuncia la propria fragilità – ci sentiamo impossibilitati a qualsiasi riscatto. Una madre così persecutoria – poiché di noi non si fida – porta noi stessi a non fidarci di lei: “posti di fronte all’alternativa tra sicurezza e riservatezza, i cittadini non sempre scelgono la prima, è la nostra esperienza a dircelo, il bisogno di intimità sulle spiagge, ad esempio, porta a rifiutare ogni occhio indiscreto”.
Il senso di persecutorietà aumenta, quindi, a livello esponenziale: chi ci controlla può essere inteso come una “cattiva madre”, ma anche chi vuole sfuggire a questo controllo onnipotente diventa “cattivo”.
Ad un diverso livello la riflessione, pur integrando le cose sopra dette, può assumere sfumature diverse: sempre più questa esigenza di controllo, questo bisogno di guardare ciò che accade agli altri, sembra essere presente in ognuno di noi. D’altro lato aumenta anche vertiginosamente il numero di persone che desiderano essere osservate e forse “invidiate” in ogni attimo della loro vita privata; il Grande Fratello ne è forse l’esempio più eclatante ma anche, meno autentico, costruito a bella posta per veicolare solo una parvenza di realtà.
Ci si chiede, allora, cosa ci può essere dietro a questo bisogno così impellente, a questa necessità che ha portato l’indice di ascolto della suddetta trasmissione alle stelle.
Forse tutto questo può nascere dal senso di esclusione provato da ognuno di noi, bambini piccoli, di fronte alla coppia genitoriale che ci portava ad invidiare ciò che immaginavamo i nostri genitori fossero l’uno per l’altro e a provare gelosia per la loro relazione.
Tale relazione poteva essere idealizzata, vista come qualcosa di bello e terribile al contempo, forse erano tenuti vivi nella nostra percezione infantile principalmente gli aspetti che potevano accrescere la rabbia e la gelosia.
Di fronte ad adulti sentiti così superiori,ci sentivamo piccoli, esclusi da un’intimità che poteva essere carica di paura e di desiderio. Noi, bambini, avremmo voluto essere al posto della mamma o del papà e ricevere l’affetto che sentivamo avremmo voluto tutto per noi.
Nella misura in cui non siamo riusciti a tollerare ed elaborare tale esclusione, possiamo rincorrere ancora con rinnovato desiderio infantile l’immagine di qualcosa che può essere solo visto da lontano e a cui non si può partecipare. D’altra parte, anche in chi tende ad esporsi può esserci lo stesso bisogno e timore, la stessa “gelosia” e “invidia” però negate e fatte vivere “in fantasia” a chi ammira, a chi, incuriosito, sembra spiare dal buco della serratura.
Sembra, quindi, esservi una sorta di scollamento, di scissione: da una parte la ragione, l’intelletto dell’essere umano ha ideato strumenti tecnologicamente avanzati, la scienza ha fatto passi enormi negli ultimi decenni, dall’altra l’uso che si fa di ciò che è stato inventato può essere posto al servizio di bisogni regressivi.
L’abbiamo visto: o il controllo di ogni cosa che impedisce la crescita e l’individuazione, o il guardare da lontano ciò che accade, illudendosi che sia sufficiente sentirsi esclusi a trovare un senso.