commento di Eraldo Walter Machet
fonte Il Secolo XIX
La notizia
Adolescenti e telefonini. L’amore virtuale dei ragazzi cresciuti con il cellulare. Telefonini sempre più complessi, giovani e bambini sempre più smaniosi di possederlo per ostentare l’ultimo modello e sentirsi così di far parte del mondo degli adulti. E’ stato uno dei regali più richiesti dai bambini dagli otto anni in su, e tanti lo hanno trovato sotto l’albero. (…) Ma al di là dell’essere oggetto di moda, il telefonino sicuramente influenza i giovani nello stile comunicativo e nella relazione con l’altro. Il messaggino ha sostituito il bigliettino e anche la lettera, il linguaggio è sempre più sintetico e per aumentare la capacità comunicativa i ragazzi hanno inventato nuovi codici, utilizzando i diversi segni e attribuendo loro un valore simbolico, ottenendo così in poco spazio fisico una grande possibilità espressiva. Un fenomeno cui assistiamo spesso è vedere un gruppo di giovani che parlano al telefonino o inviano messaggi con un entusiasmo e un’importanza direi prioritaria verso chi è lontano in quel momento, mostrando poco interesse allo scambio o alla chiacchierata con chi è seduto accanto. Questo comportamento non è dettato solo dalla voglia di usare il telefonino o di farsi vedere impegnati in mille comunicazioni, ma dalla possibilità di vivere l’esperienza dell’intimità virtuale. (…) Sta cambiando il tipo di distanza necessaria per favorire il costituirsi di una relazione. L’intimità oggi non è vista come vicinanza, in quanto la difficoltà di manifestare i sentimenti, di verbalizzare e di vincere il pudore e superabile solo stando dall’altra parte del telefonino. L’intimità sembra potersi concretizzare in rapporti che garantiscono la distanza fisica, che proteggono da quel senso di vergogna e timidezza di cui sono portatori i rapporti significativi. Come se lo spazio virtuale consentisse di anestetizzare le emozioni troppo forti presenti in una relazione. (…).
Il Secolo XIX, 4 gennaio 2003
Il commento
Più che una vera e propria notizia di cronaca, stavolta resto attratto da questo bell’articolo, la cui apertura è posta in prima pagina, già dal titolo interessante; lo scritto è di Federico Bianchi di Castelbianco, uno psicoterapeuta evidentemente sensibile a tali fenomeni.
Le sue attente osservazioni mi hanno suscitato ulteriori riflessioni che cercherò qui di esprimere.
La prima è più immediata riguarda il fatto che questa modalità di relazione che tanto coinvolge il mondo giovanile è anche presente, in modo consistente, nei rapporti fra adulti. La cosa non deve certo stupire, se è vero com’è vero, che i giovani sono la coscienza epifanica del proprio tempo, come Hegel aveva già acutamente rilevato .
Altra riflessione riguarda questo particolare periodo dell’anno, in cui troviamo su tutti i quotidiani ampi spazi pubblicitari ai telefonini, a volte persino intere pagine e nei negozi di telefonia, di elettronica ed affini, almeno in una vetrina sono messe in bella mostra le più recenti novità immesse sul mercato. Segno evidente che è un articolo che attira molto, indipendentemente dall’età, dal sesso, dal ceto sociale e culturale. Quest’oggetto così richiesto in questo Natale, come osserva Bianchi di Castelbianco, può esser letto come espressione del costante bisogno di comunicare quello che siamo, quello che sentiamo. Può essere inoltre espressione di un bisogno di dare e di ricevere attenzione e amore all’interno della relazione e degli affetti che ci troviamo a vivere. E se così fosse acquisirebbe significato e valore il senso psicologico del Natale, che richiama dentro ciascuno di noi, inconsapevolmente, il ricordo della nostra personale nascita, del nostro essere stati bambini amati ed accuditi in seno ad una famiglia. E che ora, pur con il rimpianto di tutto ciò, finito per sempre, è tuttavia ancora importante dentro di noi rievocare simbolicamente.
Ci sono però troppi segnali che fanno supporre che le cose non stiano proprio così. Tra luci, colori, messaggi audiovisivi, regali, pranzi … tutto in modo così frenetico ed enfatizzato, sembra proprio che nulla più riguardi questa ricorrenza nel suo significato originario (quello religioso) e nel suo significato personale (quello psicologico).
Sembra invece che ci si stia orientando sempre più verso quel mondo che solo il poeta, lo scrittore sa cogliere con immediatezza e profondità e sa suggestivamente descrivere con la sua fantasia.
Mi torna alla mente, a tal proposito, il mondo fantastico di Edwin A. Abbott raccontato in “Flatlandia” (ed. Adelphi, MI, 1993). Un mondo dove emblematicamente i protagonisti sono figure geometriche che vivono e
“si muovono qua e là, liberamente sulla superficie o dentro di
essa, senza potersene sollevare e senza potervisi
immergere, come delle ombre, insomma…”.
Un mondo dunque che esclude ogni interiorità poiché l’interno e l’esterno di questi “esseri umani-figure” esiste su piano bidimensionale di lunghezza e di larghezza. Dove assenza di spessore e di profondità non fa che ridurre i rapporti ad un contatto superficiale, ad un aderire all’immagine dell’altro visto e giudicato solo in base alla sua configurazione esteriore. E’ questa assenza di spessore che ravviso nell’amore virtuale (appunto!) degli adulti e dei ragazzi “cresciuti con i cellulari”. E’ assenza di spessore che lascia intravedere il timore di qualsiasi forma di emotività, la paura di entrare in uno stato d’animo di fronte all’altro e di poterne o non poterne uscire. Necessariamente in un contesto del genere il contatto non avviene che attraverso l’udito, a Flatlandia come nel mondo degli umani, dove già dal particolare input musicale o sonoro del cellulare si può individuare chi chiama e scegliere se mettersi o no in comunicazione. Ma, ancor più, è attraverso la vista complice, non a caso, la nebbia che il mondo di Flatlandia permette di distinguersi e di presentarsi, come nel nostro mondo attraverso l’SMS o la foto, opportunamente selezionata, che ora è possibile trasmettere. Ma dove, ancor più suggestivamente, Abbott è riuscito a cogliere il terrore di riconoscere ed accogliere la propria emotività e di comprendere quella dell’altro, dunque di entrare anche in una “terza dimensione ” è in Linelandia, l’altro mondo interno al primo, dove:
“l’unione non ha bisogno della vicinanza; e la nascita dei figli è
cosa troppo importante per dipendere da un caso come la
contiguità (…) i matrimoni si consumano mediante la
facoltà di emettere suoni, e mediante il senso dell’udito. (…)
tastarsi, toccarsi, entrare in contatto (…) è punibile con la morte”,
dice il Re al protagonista del racconto. Siamo nel mondo che spesso incontriamo nei nostri pazienti, ma anche nei rapporti di vita quotidiana, dove vediamo un maggior livello di sofferenza, una mancanza, se possibile ancor più accentuata, di interiorità ancorché bidimensionale e dove quasi nessuna emozione è possibile lasciare affiorare, forse neppure a grandi distanze. Ma il massimo della sofferenza, della solitudine, del narcisismo, della follia si ritrova in Pointlandia, ultimo mondo che si può scorgere anche in questa nostra realtà di “amori virtuali”, dove in un baratro adimensionale esiste solo il Punto.
“Egli stesso è tutto il suo Mondo, tutto il suo Universo; egli non può
concepire altri fuor di se stesso: egli non conosce lunghezza, né
larghezza, né altezza, poiché non ne ha esperienza; non ha
cognizione nemmeno del numero Due; né ha un’idea della
pluralità, poiché egli è in se stesso il suo Uno e il suo Tutto …”.
Un’ultima riflessione ancora porterebbe a chiederci da dove nasca questa impossibilità drammatica di concepire una vicinanza emotiva e fisica alle persone, soprattutto a quelle che più si amano: la risposta ci porterebbe ora troppo lontano. E’ comunque un dato ormai ampiamente acquisito che vi sia una continuità nella vita emotiva che si rinnova nelle scelte d’amore compiute da ciascuno di noi. Tutti i desideri di affetto, di intimità, di amore, soddisfatti o meno durante i primi anni di vita, sono diretti sul nuovo oggetto d’amore. Questi sarà vissuto, in ragione di tale trasferimento, come la fonte di ogni bene, ma anche come l’origine di ogni male e di ogni mancanza. Ecco perché l’amato assume agli occhi di chi ama un’importanza enorme. Ed ecco perché la persona che più si ama è la stessa che più si teme. Quella gioia appena intravista di unione con l’altro, infatti, si può trasformare ben presto in dipendenza, possessività, vincoli: essere vicini … solo se lontani, è sentito allora come l’unica strada percorribile.