Orientamento didattico

La SPC genovese, per affrontare e approfondire i molteplici problemi posti dalla trasmissione delle competenze psicoterapeutiche in senso teorico, tecnico e clinico, ha scelto di attingere:

  • dall’eredità psicoanalitica freudiana e post-freudiana (Klein, Bion, Winnicott, Meltzer, Ogden, Bollas, Kernberg…) tutto l’insegnamento possibile rispetto alla sua complessa concettualizzazione, alla rigorosità del metodo, alla necessità di una formazione individuale che si dipani nel tempo secondo i ritmi emotivi di ciascuno.
  • dal cognitivismo e dalle neuroscienze, l’attenzione per lo sviluppo fisiologico delle funzioni mentali e cognitive, evidenziando le possibilità di integrazione sia sul piano concettuale che clinico. Osservare il funzionamento mentale e affettivo dell’essere umano, partendo da vertici differenti, significa sensibilizzarsi alla ricerca dei fattori comuni. Anche sul piano clinico le osservazioni sul comportamento possono dare un utile apporto. Nel rapporto tra terapeuta e paziente si verificano infatti, oltre a tutti gli accadimenti teorizzati dalla psicoanalisi, anche una serie di altri fenomeni che hanno a che fare con il comportamento e che non vengono nominati nella teorizzazione psicoanalitica ma che, comunque, incidono sull’andamento della relazione terapeutica. Diventa quindi un apporto significativo saperli riconoscere e modulare. Anche le ricerche portate avanti dalle neuroscienze arricchiscono la teorizzazione psicoanalitica. Pensiamo al concetto di ritrascrizione della memoria (Edelman) e al concetto freudiano di Nachtraglichkeit… Oppure alle potenzialità insite nelle tecniche di neuroimaging e alle tecniche di brain mapping quali possibilità di validazione dell’efficacia della psicoterapia. L’intento, infine, è anche quello di portare l’allievo ad una maggiore duttilità di pensiero e capacità dialettica. E’ importante che il futuro terapeuta possa dialogare agevolmente su queste tematiche “scientifiche”, senza doversi schierare troppo difensivamente dietro un’ideologia.
  • dall’epistemologia, il muoversi con disinvoltura tra i vari approcci teorici mantenendo una propria capacità critica e riflessiva
  • dalla Gestalt e dallo Psicodramma analitico, il recupero di una molteplicità di punti di vista attivi, per cui il problema non viene ridotto ad un unico modello interpretativo, ma esplorato in tutta la sua complessità, integrando terapia individuale e terapia di gruppo. Del resto nella terapia individuale il porre al centro dell’attenzione il “qui ed ora”, che ripropone nella relazione terapeutica i conflitti relazionali del paziente, introduce sicuramente alla dimensione “drammatica” della psicoterapia.

E questa stessa dimensione è recuperata anche nel gioco di ruolo dello psicodramma e della gestalt, che pongono in relazione l’interazione delle persone reali, il dramma della storia della propria vita e il dramma interiore. Nello psicodramma l’attenzione è rivolta maggiormente al mondo interno dell’individuo, mentre nella gestalt l’intrapsichico si sviluppa e si esprime all’interno del contesto relazionale. Comune ai due modelli è l’obiettivo di aumentare le possibilità, la flessibilità, l’adattamento, nello psicodramma permettendo di sperimentare ruoli e potenzialità, nella gestalt lavorando per chiudere le gestalt rimaste aperte e superare nel presente le interruzioni di contatto inconsapevoli. La dimensione gruppale è perciò utile per far vivere realmente nell’esperienza del qui ed ora emozioni e immagini intuitive, integrando il lavoro analitico. A tale proposito, l’accesso a una parte reale e significativa della psiche è confermato dall’emergere di ricordi rimossi o dall’insight di sentimenti non accettati, preziosi per la comprensione di comportamenti, sintomi e sogni.

  • Dagli altri orientamenti il confronto con l’esperienza teorica e clinica di psicoterapeuti delle diverse impostazioni, con una particolare attenzione e considerazione per la teoria junghiana, a cui è dedicato un ampio spazio.

Ecco quindi alcuni criteri fondamentali adottati dalla nostra scuola:

  • Lo staff ritiene importante avere cura per la mente in formazione anche attraverso un clima di accoglienza che non implichi però la ‘confusione generazionale’ e che favorisca nel tempo l’accesso consapevole alla propria creatività, emotività e affettività, strumenti indispensabili per il lavoro psicoterapeutico.
  • Ha scelto di strutturare l’iter formativo degli allievi dedicando molto tempo anche al lavoro di gruppo secondo l’approccio psicoanalitico, gestaltico e di psicodramma analitico.
  • L’approfondimento teorico è proposto come lavoro interattivo e sempre correlato alla dimensione clinica.
  • Il ‘gruppo-classe’ deve divenire nel tempo un ‘gruppo di lavoro’ capace di leggere le proprie dinamiche interne e di farne oggetto di riflessione e spunto di crescita nel cambiamento, esercitando la mente a collocarsi in modo duttile nei vari livelli di realtà costituiti dai diversi ruoli sperimentati durante la formazione (allievo, paziente, terapeuta, terapeuta in supervisione, membro di un gruppo…)
  • Lo specializzando deve lavorare sulle proprie emozioni sia a livello individuale sia in gruppo
  • Riteniamo che due siano i fattori generatori di cambiamento psicologico, nella vita come nel processo terapeutico: l’amore e il gioco. La costruzione di una realtà separata dalla vita ordinaria e giocare, all’interno di questa realtà, il gioco della ricerca del proprio oggetto d’amore, è l’essenza del processo terapeutico come di ogni azione culturale. Il gioco può svolgersi solo all’interno di regole precise e di precisi limiti temporali. All’interno di queste regole e di questi limiti il gioco può essere massimamente spontaneo e libero e servire perciò per ristabilire le connessioni con gli eventi del Sé rimossi, scissi, perduti. Un Corso di formazione per psicoterapeuti deve avere un setting, una cornice precisa e stabile dentro la quale accadono gli eventi didattici e un pool di docenti capaci di coordinarsi e impegnato a mantenere tale stabilità
  • E’ importante essere aiutati a riconoscere e ad accettare la coesistenza dei vari piani di realtà in cui ci muoviamo e diventare capaci di collocarsi all’interno di essi. Dice Winnicott a questo proposito: “La psicoterapia ha luogo là dove si sovrappongono due aree di gioco, quelle del paziente e quella del terapeuta. La psicoterapia ha anche a che fare con due persone che giocano insieme. Il corollario di ciò è che quando il gioco non è possibile, allora il lavoro svolto dal terapeuta ha come fine di portare il paziente da uno stato in cui non è capace di giocare ad uno stato in cui ne è capace”. E’ essenziale quindi saper giocare, cioè accettare l’esistenza simultanea di ciò che sta dentro la cornice e ciò che sta fuori. In molte situazioni psicopatologiche i pazienti hanno grosse difficoltà ad accettare questa simultaneità, ad accettare la molteplicità delle realtà immanenti alla situazione transferale e le caratteristiche oggettive del terapeuta. Acquisire questa capacità, muoversi agilmente ai vari livelli di realtà sperimentati nel setting e nella situazione transferale è la miglior terapia per pazienti ed allievi.