Il modello forte psicoanalitico

Occuparsi del disagio psichico significa cercare di individuare gli elementi che hanno prodotto una determinata costellazione emotiva interna che è disfunzionale e che, per questo, genera dolore.
La definizione appena data, necessariamente rimanda, per una sua più completa esplici-tazione, ad un chiarimento per ciò che si intende con psiche.
La corrente dell’organicismo, ad esempio, pensa la psiche come interamente determinata dal corpo: le prestazioni mentali dipendono dal cervello e il cattivo stato di questo organo produce un alterato funzionamento della mente, interpretabile come patologico.
L’approccio descritto è stato progressivamente abbandonato, dal momento che non rende pienamente conto degli eventi mentali: uno stato depressivo può continuare a perdurare anche dopo l’assunzione dei farmaci che integrano le mancanze presenti a livello neuroumorale; per altro verso, è altrettanto vero che lo psichico influenza il somatico: affetti, inclinazioni emotive, desideri incidono sul corpo e sulle evoluzioni delle patologie di questo.
É, dunque, necessaria un’altra forma di sapere che sia propria dell’elemento psichico, pensato come indipendente dal somatico, inteso quale fattore non ulteriormente riducibile e, come tale, richiedente un metodo di indagine a sé adeguato.
L’oggetto di studio diventa una sostanza immateriale; le percezioni interne non hanno un’estensione misurabile e i dati che da esse nascono chiedono alla ricerca di svilupparsi nell’unica direzione che permetta di tenere conto di essi. Le sole quantità misurabili sono i numeri delle esperienze, ma le generalizzazioni trovano il loro limite nella necessità di salvaguardare la qualità unica dell’esperienza individuale.
Che tipo di conoscenza può, allora, sorgere in questo ambito?

Le opinioni che hanno delle ragioni costituiscono le conoscenze; le cose che hanno una ragione o una spiegazione, sono conoscibili; quelle che non la possiedono, sono fuori della sfera conoscitiva.
Platone, Teeteto, Laterza, Bari.

Dacché non è possibile l’utilizzo del metodo scientifico, la “nuova” scienza, non poggiando su ragioni e spiegazioni, corre il rischio di venire catalogata come semplice sistema di credenze, non annoverabile tra le forme di conoscenza.
Per sfuggire a tale eventualità, un tentativo può essere quello di correlare lo studio dell’anima alla struttura della fisica e delle scienze osservative. Carnap, ad esempio, so-stiene la riconducibilità dell’intera psicologia al linguaggio cosale, sorta di sottolinguaggio simile a quello del quotidiano, costituito da enunciati suscettibili di trasposizione in propo-sizioni verificabili.
In qualche modo, questa sembra la strada scelta dal cognitivismo che erige ad oggetto di ricerca solo ciò che è direttamente osservabile. L’indagine si interessa di ciò che accade nel cervello in occasione dell’arrivo degli input sensoriali: quali sono le aree che si attiva-no, che selezioni di neuroni interagiscono tra loro, quali abilità vengono ad essere disponibili per la mente. Abilità che, poi, presiedono all’interpretazione dei dati provenienti dall’esterno. In altre parole, si studia il percorso attraverso il quale le informazioni vengono processate e, successivamente, codificate in memoria, diventando stabile modalità di lettura del reale.
Anche un’impostazione di questo tipo, però, sembra non rendere pienamente ragione dell’accadere psichico, nel momento in cui esclude l’intensità delle passioni, producendo un sapere che permette un riconoscimento di sé parziale e disincarnato.
A ben vedere, l’approccio della scienza empirica pare adatto solo agli oggetti inanimati e considerare un soggetto per i suoi soli aspetti osservabili e misurabili, conduce ad una dimensione similmente priva di vita. Possiamo con concordare con Green quando dice che é impossibile applicare al mondo psichico la stessa struttura logica che entra in gioco nel mondo fisico, cioè nel mondo non vivo.
Se la capacità di provare emozioni è ciò che più direttamente qualifica la vita e se le emo-zioni sono il precipitato dello stare in relazione, lo studio della psiche sembra comportare un’attenzione a ciò che accade nella dimensione dell’essere – con. Più particolarmente, sembra chiedere la creazione di un legame “sotto osservazione”, così da permettere un’attenzione all’ambiente di nascita delle emozioni, scoprendone le leggi dell’accadere, le specificità, le disarmonie, ciò che produce equilibrio, ciò che suscita dolore.
L’elemento impiegato per tale osservazione è il soggetto stesso: l’individuo diventa stru-mento di conoscenza, al servizio del rinvenimento di una intelligenza, di una ragione – come diceva Platone – di ciò che emotivamente avviene nel rapporto.
Questo è il punto di vista della psicoanalisi che colloca la sua prospettiva nell’interazione degli affetti.
Le diverse costellazioni emotive che, di volta in volta, prendono vita nella stanza d’analisi, possono, poi, fungere da indicatori delle modalità prevalenti del mettersi in relazione del paziente, modalità che segnalano anche aspetti disfunzionali, dipendenti da precedenti contesti relazionali.
L’ambito analitico, in questo caso, diventa il terreno di riconsiderazione e ricostruzione delle pregresse codificazioni affettive e luogo d’origine di una narrazione della storia personale tesa ad un tentativo di integrazione, per successive e mai terminate approssimazioni, degli elementi che fanno parte del Sé.
La salute mentale sembra risiedere proprio nella capacità di conoscere e riconoscere quello che fa parte della personale esperienza, senza doverlo escludere o troppo deformare.
La pratica clinica impegna terapeuta e paziente a generare un’esperienza condivisa che garantisca la capacità di sentiresognare e pensare intorno a ciò che si vive e si è vissuto.

Diventiamo ciò che accettiamo di patire.

dice Grotstein ne Un raggio di intensa oscurità.
Patire è sinonimo di soffrire, ma la passione, sostantivo del verbo, indica trasporto, coin-volgimento, anche esultanza.
Cercando di meglio comprendere il termine, risulta illuminante un passo de La montagna incantata di T. Mann

Cos’è, dunque, la vita? E’ calore, una febbre della materia. E’ l’essere del non poter essere, di ciò che sta, con fatica dolce e dolorosa insieme, in bilico sul punto dell’essere. Non è materia e non è spirito, è qualcosa di intermedio tra i due come l’arcobaleno sulla cascata, come la fiamma. Ma, benché non materiale, è sensuale sino al piacere e alla nausea, è l’insolenza della materia fattasi sensibile, è la forma impudica dell’essere.

Nella citazione appena data, Mann sembra assimilare la vita con il sentire nel suo doppio volto di piacere e di sofferenza – fatica dolce e dolorosa – inestricabilmente fusi insieme.
Forse è in questo senso che possiamo intendere il patire di cui ci parla Grotstein: diven-tiamo quello che riusciamo a sentire, a portare all’essere.
Le ragioni che hanno condotto a scegliere la prospettiva psicoanalitica come prevalente e prioritaria rispetto alle altre impostazioni, in merito alla descrizione e comprensione degli eventi mentali, riposano sulle osservazioni globalmente fatte. La scelta, soprattutto, è per una direzione intenzionata alla costruzione di una conoscenza che derivi il suo statuto scientifico più direttamente proprio dalla vita della psiche che, come ci ricorda Freud, significa anima.

Psiche è una parola greca e significa, tradotta, anima. Trattamento psichico vuole dire “trattamento dell’anima”, trattamento dei fenomeni patologici dell’anima. Trattamento a partire dall’anima, con mezzi che agiscono, in primo luogo e immediatamente, sull’anima dell’uomo. Un tale mezzo è so-prattutto la parola. Un profano penserà che si pretenda da lui la fede nella magia e non ha tutti i torti, visto che le parole dei nostri discorsi quotidiani non sono altro che magia sbiadita.
S. Freud, Trattamento psichico, 1980.

Tale scelta comporta, di necessità, il confronto con le riflessioni sullo statuto epistemolo-gico della psicoanalisi, ma l’eventualità in questione si rivela non solo mero tentativo di difesa circa un corpus di sapere, bensì anche l’occasione per un approfondimento intorno a ciò che, più propriamente, si intende con scienza e con conoscenza.

[Nicoletta Massone]