La peculiarità epistemologica della psicoanalisi non la esime da una attenzione interdisciplinare, da un confronto con i dati delle altre scienze che si occupano della mente. E questo non tanto per dimostrare se Freud avesse ragione o torto, quanto per valutare conoscenze capaci di ampliare i concetti psicoanalitici stessi, mettendoli in contatto con dimensioni che sempre appartengono alla psiche, in particolare con gli aspetti che riguardano il somatico, nell’estensione della complessità del rapporto mente – corpo.
Significative, al riguardo, le ricerche della PSICOBIOLOGIA, in particolare quelle relative allo studio dell’emisfero destro del cervello e della corteccia orbitofrontale. Tale corteccia agisce come zona di convergenza tra le strutture corticali e quelle sottocorticali. Grazie a tali connessioni, le in-formazioni provenienti dall’esterno ed elaborate a livello corticale, sono integrate con le informazioni che provengono dall’ambiente viscerale interno. La corteccia orbitofrontale è maggiormente espansa nell’emisfero destro che è dominante per la gestione delle emozioni. Nel primo anno di vita, le espressioni del viso giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo affettivo. Tra i due e tre mesi, mentre aumenta enormemente la velocità di mielinizzazione delle aree visive della corteccia occipitale, gli occhi della madre, in particolare le pupille, diventano l’oggetto d’attenzione principale del bambino che sorride immediatamente quando vede le pupille dilatate, dilatando anche le sue. A loro volta, le pupille dilatate, attivano comportamenti di accudimento.
I filmati di Bebe e Lachman (1988) hanno mostrato come rapidi movimenti sincroni siano concomi-tanti a trasformazioni verso stati emotivi simili in madre e bambino. Sostanzialmente, quando la diade riesce a sintonizzare le proprie modalità di funzionamento affettivo, ciascuno ricrea uno stato psicofisiologico simile a quello del partner.
Per poter accedere a questo tipo di comunicazione, la madre deve essere sintonizzata non tanto sui comportamenti manifesti del figlio, quanto sul riflesso dei suoi stati interni.
Da parte sua, il bambino utilizza l’informazione in uscita dalla madre come traccia in base alla quale costruire circuiti neuronali deputati a mediare le quantità emotive presenti. È come se la madre, in queste transazioni, scaricasse continuamente programmi dal proprio cervello a quello del bambino.
Ovviamente, la figura di accudimento non può essere sempre sintonizzata; una madre sufficiente-mente buona che induce una situazione di stress a causa di una perdita di accordo è, però, in grado di evocare la regolazione degli stati emotivi innescati nel bambino. Questi meccanismi di ripristino trasformano in positiva l’emozione negativa. Le esperienze di sintonizzazione, mancanza e recupero di sintonizzazione, vengono “stampate” nel cervello in maturazione, dando luogo a mo-dalità persistenti per quando riguarda la modulazione degli affetti e la conseguente possibilità di accedere a tutte le successive relazioni.
Inoltre, tali stampe o rappresentazioni interne, permettono progressivamente al bambino di autore-golare le funzioni fisiologiche che prima necessitavano della figura esterna.
La corteccia orbitofrontale, la parte pensante dell’emisfero destro, matura verso la metà del secon-do anno di vita, alla fine del periodo di sperimentazione descritto dalla Mahler, quando il bambino ha una competenza verbale decisamente primitiva. Questo significa che il primo nucleo del Sé è inconscio e non verbale e che le predisposizioni per la regolazione degli affetti agiscono in modo altrettanto inconscio nella determinazione del comportamento interno ed esterno della mente.
L’affermazione di Freud per cui ogni evento depositato nella memoria è parte strutturante dell’in-conscio (Note sull’inconscio in psicoanalisi, 1912) sembra trovare corrispondenza in queste ricer-che.
Più globalmente, quanto appena descritto pare essere il correlato biologico di ciò Bion dice, in sede psicoanalitica, relativamente alla condizione di revêrie della madre nei confronti del bambino.
Per altro versante, le ricerche esaminate possono introdurre elementi di variazione rispetto al con-cetto freudiano di inconscio. L’inconscio precoce di cui si parla non può essere effetto di rimozione perché le strutture della memoria esplicita, fondamentali per l’azione rimotiva, non sono ancora mature. Le esperienze presimboliche e preverbali che vengono conservate, anche se in una forma non accessibile alla memoria esplicita, vanno a costituire quello che potremmo chiamare inconscio precoce non rimosso che rimane quale primitivo nucleo addensante in unità le esperienze compiute dal soggetto.
Le scienze biologiche, inoltre, sottolineano come il sistema nervoso possieda una plasticità struttu-rale e resti, quindi, suscettibile di cambiamento per tutta la vita; nello stesso tempo, la piena attiva-zione del cervello e delle sue funzioni è dipendente in modo necessitante dall’esperienza.
Questi elementi sembrano costituire la condizione somatica di base per un intervento psicotera-peutico volto a produrre modificazioni nella psiche. Studi condotti con la PET indicano, in effetti, significativi cambiamenti nell’attività metabolica della corteccia orbitofrontale destra e delle sue connessioni sottocorticali come risultato di un trattamento efficace.
Già anche il limitato numero delle ricerche riportate, permette di comprendere come gli apporti delle altre discipline, in questo caso della psicobiologia, più che innescare una contrapposizione per la preminenza circa il sapere della psiche, siano l’occasione per un arricchimento e un approfon-dimento dei concetti psicoanalitici, nonché lo stimolo per ulteriori ricerche.
Possiamo, in effetti, concordare con l’affermazione di Eisenberg (La costruzione sociale del cervel-lo umano, 1995) per il quale è possibile comprendere lo sviluppo umano solo quando questo venga contemporaneamente studiato su più dimensioni, comprendenti il piano biologico, psicologico, sociale, culturale.
In tal senso, decisamente stimolanti risultano essere i guadagni delle NEUROSCIENZE. Signifi-cative, nel vasto campo delle scoperte ottenute, gli studi sull’emozione. Secondo Damasio, neuro-logo e neurobiologo, l’emozione si verifica in concomitanza della liberazione di sostanze chimiche a livello cerebrale. Il cambiamento chimico modifica il sistema nervoso che si organizza in configu-razioni neurali, responsabili del vissuto affettivo. L’emozione coincide, dunque, con un cambiamen-to transitorio dello stato dell’organismo che, però, non va perduto, ma è fissato come traccia mne-stica, utilizzata, in seguito, quale mappa relazionale in ordine alla gestione di tutti i successivi rap-porti.
All’interno di questo quadro, per quanto riguarda l’anatomia del cervello, l’amigdala sembra essere l’organo guida alla base del comportamento affettivo. Riceve input sensoriali multimediali e proietta a tutti i livelli del sistema nervoso centrale. Un buon funzionamento dell’amigdala permette il tratte-nimento e il consolidamento delle memorie emozionali. Uno stress eccessivo, invece, aumenta il livello di corticosteroidi che causa atropia dei dendriti delle cellule piramidali e modula in senso de-pressivo il funzionamento dell’amigdala stessa, eventi che rendono impossibile la codifica nella memoria esplicita ippocampo-dipendente. Visto che l’amigdala gestisce anche il circuito coinvolto nella memoria implicita, si può ipotizzare che lo stress da deprivazione possa produrre elementi esperienziali destinati ad una archiviazione inconscia, non discriminata e non discriminabile, sorta di quantità emozionali negative, simili a ciò che Bion chiama elementi ß.
Su altro versante, e sempre in riferimento ai dati sperimentali, l’esperienza di accudimento, in par-ticolare la condizione di rispecchiamento-significazione messa in atto dalla madre, permette al bambino di vivere sensazioni di piacere. E tali vissuti non sono solo un evento momentaneo, ma hanno in sé qualcosa in più: proprio perché piacevoli, possono essere trattenuti nella memoria ed andare a costituire il primo nucleo dell’Io. Il bambino si ancora a queste tracce, cambiando il segno di un funzionamento psichico basato prevalentemente sulla scarica pulsionale.
Potremmo dire, in termini kleiniani, che l’esperienza di piacere interrompe il circuito schizo-paranoide per cui le stimolazioni vengono evacuate dalla mente in quanto sempre più persecutorie, mentre si realizza, invece, un investimento verso la relazione che può essere riconosciuta come buona. Tale condizione consente il prodursi della rappresentazione e lo sviluppo della capacità simbolica. Al contrario, una scarso revêrie materna non permette di conservare le personali espe-rienze che vengono accumulate nella memoria implicita come quantità affettive cariche di ango-scia, gestite dal funzionamento più primitivo della mente, dominato dalla scissione, dalla negazione e dall’evacuazione. Al soggetto vengono a mancare parti della sua vita, presenti ed operanti solo a livello inconscio, all’interno di un quadro che porta l’egida da un Sé frammentato.
Per quanto riguarda la revêrie materna, ancora significativi appaiono i guadagni delle neuroscienze in merito alla scoperta dei neuroni specchio. Questo tipo di neuroni si attiva non solo quando il soggetto è sottoposto ad una particolare stimolazione che produce specifiche emozioni, ma anche quando vede qualcun altro coinvolto in identica stimolazione. Ad esempio, è stato osservato che le aree deputate alla sensazione di dolore – aree anteriori della corteccia del cingolo e corteccia pre-frontale – si attivano sia in chi è sottoposto a stimoli dolorosi, ma pure in chi semplicemente sta os-servando quella persona. E l’attivazione si innesca anche di fronte ad input verbali, non solo visivi. Si tratta di una simulazione incorporata che permette di replicare, nella mente del soggetto, lo stato emotivo di un altro osservato.
Quanto si sta dicendo, sembra in particolare sintonia con il concetto psicoanalitico di identificazione proiettiva nella sua valenza di modalità di comunicazione: le proiezioni possono essere comprese visto che una particolare popolazioni di neuroni si attiva in modo simile a chi ha proiet-tato, permettendo una comprensione di quanto è stato trasmesso. Tutto ciò ha valore non solo per la situazione di accudimento neonatale, ma per tutte le circostanze della comunicazione, in esse compresa quella che si realizza nell’ambito terapeutico e nel gioco incrociato dei movimenti di transfert e contro transfert.
Anche in questo caso, il confronto con i guadagni delle neuroscienze diventa l’occasione per l’ac-quisizione di informazioni e di esperienze, in una fertilità generatrice di significati nuovi.
L’avvicinamento al COGNITIVISMO sembra similmente denso di apporti significativi per quanto riguarda l’approfondimento della conoscenza in merito alla genesi del Sé. Particolarmente interes-sante la posizione sulla coscienza. Secondo il cognitivismo, la coscienza emerge perché, nelle molteplici elaborazioni che avvengono nella mente, si verifica una scelta inconsapevole che fa si che i processi automatici che simultaneamente in parallelo sviluppano le diverse informazioni, esi-tino in un unico processo sequenziale. Il tipo di processazione, poi, non è determinato genetica-mente, ma è condizionato dalle esperienze precoci neonatali e fetali che determinano il modo in cui funzionerà un certo sistema neurale. Edelman parla di popolazioni di neuroni che vengono se-lezionate ed organizzate a seconda del tipo iniziale di esperienza.
Per altra strada, ci troviamo al muto rispecchiamento madre bambino della psicobiologia che pre-siede alla produzione di un codice affettivo per la lettura di ogni qualsiasi successiva interazione.
Da parte sua, la psicoanalisi, si affianca a tali dati con la teoria delle prime situazioni relazionali come matrice del Sé. Psicobiologia e neuroscienze sembrano individuare, come si diceva, il so-strato biologico sottostante: quale attività cerebrale e quali aree sensoriali sono implicate nella composizione delle tracce mnestiche corrispondenti a quanto si descrive come relazione primaria con la madre.
Le tracce mnestiche, diversamente elaborate da individuo ad individuo, si organizzano, dunque, in scene o mappe per la lettura delle successive esperienze. Le versioni sono molteplici, la mente è popolata da una pluralità di declinazioni circa quanto sta accadendo e solo una di queste versioni viene scelta per diventare processo sequenziale corrispondente a ciò che chiamiamo coscienza (Baars 1988). Edelman pensa che la scelta di una certa elaborazione di segnali avvenga in base al valore di sopravvivenza e che il sistema di valori possa entrare ricorsivamante (i circuiti rientranti) nella dimensione della consapevolezza, in funzione della qualità della relazione tra sé e gli altri, da cui la coscienza continuamente emerge (Liotti).
Sulla base di queste osservazioni, secondo i cognitivisti, non esiste una struttura unitaria che si possa chiamare Sé. Al contrario, il Sé si rivela come il cangiante avvicendarsi nella coscienza di molteplici rappresentazioni di Sé con l’altro, secondo un flusso che costantemente muta lo stato della coscienza stessa, (Dennett, 1991) dal momento che la condizione affettiva di un individuo viene trasmessa ad un altro, inconsapevolmente per canali non verbali, producendo in questi una complementare processazione in parallelo che approda ad un diverso stato di consapevolezza . Prima comunico, poi divento cosciente.
La comparsa delle relazioni interpersonali non è conseguente all’emergere della coscienza, bensì è vero l’inverso: il costituirsi del sociale origina i linguaggi e poi la consapevolezza.
Inoltre, come una relazione significativa riesce a modificare le disposizioni relazionali, l’assenza di interazioni disgrega la coscienza e la capacità autoriflessiva, secondo quanto dimostrato dalle os-servazioni sui casi di prolungato isolamento o di deprivazione sensoriale.
La concezione della coscienza come emergente da una serie di processazioni in parallelo automa-tiche sembra trovare convergenze con concetto bioniano di trasformazioni, dove si può rinvenire una simile progressione di significati che va verso una forma semantica preminente, se non unica circa, le molteplici “versioni” dell’evento in corso.
Ancora una consonanza sembra ritrovarsi con la regola psicoanalitica delle libere associazioni e dell’attenzione fluttuante: l’analista senza memoria e senza desiderio, l’analista che deve sognare quello che il paziente gli dice, l’analista che deve lasciar emergere e poi leggere i pittogrammi, tutte queste regole sembrano suggerimenti tecnici per meglio congiungere il processo sequenziale della coscienza – di analista e paziente – ai processi automatici inconsci.
In questa breve disamina, sono stati presi in considerazione solo alcuni dei guadagni appartenenti ad altre discipline che si occupano della mente, confrontando questi con la concettualizzazione psicoanalitica. Certamente, una comparazione di questo tipo è aperta a molti rischi, il più cospicuo dei quali può essere quello di cedere alla tentazione verso semplici equivalenze, sorta di “gioco della permutazioni”, come già diceva Freud, sotteso al desiderio di produrre un sapere del tutto compiuto.
Tali traduzioni punto per punto finiscono con il risultare tentativi di semplificazione di una realtà e-stremamente complessa come quella del mente, mentre i guadagni delle altre scienze, se guardati da un punto di vista meno teso all’onniscienza, più che altro rivelano un aumentano di complessità.
Nonostante l’esposizione a questo tipo di rischi, i vantaggi di un sapere reso comune sembrano evidenti per tutte le discipline coinvolte nella comparazione; in particolare:
• le scienze psicobiologiche e le neuroscienze possono offrire conferme ed ampliamenti alle teorie psicoanalitiche e possono, nel contempo, limitare la produzione di ipotesi in contrasto con i dati empirici via via scoperti.
• per altro versante, la psicoanalisi può problematizzare i riduzionismi che caratterizzano un certo atteggiamento scientifico. Un esempio significativo può essere quello dei mediatori chimici neu-robiologici, per cui un valore di spiegazione può essere attribuito a quelle che sono solo conco-mitanze. L’individuazione dei neurotrasmettitori non costituisce la scoperta della causa di una pa-tologia, ma è solo la descrizione di un ulteriore aspetto che accompagna il verificarsi di una de-terminata condizione mentale.
Il confronto tra le diverse discipline risulta, dunque, di grande fecondità nel momento in cui sia sal-vaguardata e rispettata l’identità di ciascuna, nella generale rinuncia ad un sapere egemone e tota-lizzante.
[Nicoletta Massone]