commento di Eraldo Walter Machet
fonte La Repubblica
La notizia
Mamma che allatta cacciata dal locale. Milano – Il Codacons ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Milano contro il titolare di un ristorante che avrebbe vietato a una mamma d’allattare la figlioletta di tre mesi nel giardino del suo locale. “Una manifestazione di intolleranza e insensibilità che si configura come una azione discriminatoria nei confronti della donna e della sua bambina” secondo l’associazione di tutela dei diritti dei consumatori; tanto più che la donna aveva chiesto al titolare di poter utilizzare un locale interno meno affollato, una sala riservata ai non fumatori.
La Repubblica, 13 giugno 2002
Il commento
In questi ultimi mesi abbiamo spesso letto notizie di madri che uccidono il loro bambino (soffocandolo, accoltellandolo, mettendolo nella lavatrice, ecc.). Di fronte a queste tragedie tutti abbiamo avvertito nell’immediato orrore e la sensazione di incomprensibilità ha amplificato il vissuto di impotenza. Successivamente, ai sentimenti di compassione per i familiari si sono aggiunti anche quelli di pietà, più che di condanna, per la madre. Ma di fronte alla notizia di una donna alla quale viene vietato allattare in ristorante la sua figlioletta di tre mesi – potendo, in questo modo, svolgere la sua naturale funzione materna – penso che parlare di “intolleranza e insensibilità” non renda ragione dei fatti.
“Poi ella mostrò la cosa più bella del mondo, tale da accecarmi, probabilmente per non farmi vedere l’abisso. Molto gentile, a dire il vero. La mia bocca smise di urlare e iniziò a succhiare quella roba anestetica con la quale ‘dovevo addormentarmi ‘. Molto umano. Potevo morire ridendo e piangendo e sognando di essere grande e amata da lei”.
Partendo da questa commovente immagine di D. Meltzer tratta da “Amore e timore della Bellezza” (ed. .Borla, Roma 1989 pg.63), possiamo tentare di cogliere quel che sta dietro a quella “azione discriminatoria”. La madre che allatta il bambino è presente nell’immaginario di ogni individuo e in campo artistico l’armonia più totale viene espressa proprio da quella rappresentazione. Penso, ad esempio, alla “Tempesta” di Giorgione, “una delle più meravigliose creazioni dell’arte”, direbbe il Gombrich, in cui il dipinto raggiunge una sua unità grazie alla luce e all’atmosfera che permeano la storia di quella madre forse cacciata (anch’essa) con il suo bambino dalla città. Alla “Natività” del Correggio ove il bambinello appena nato, posto accanto al seno della Madonna, irraggia una luce tutt’intorno, illuminando il volto bellissimo della madre felice. Ma anche alla “Madonna dal collo lungo” del Parmigianino, dove le forme innaturalmente allungate rendono possibile rappresentare con semplicità la bellezza naturale di una madre che contempla il volto del suo bimbo beatamente addormentato dopo la poppata.
Penso, inoltre, alla “Madonna della Seggiola” di Raffaello: ogni linea del dipinto tende a realizzare una armonica circolarità in cui madre e bambino, abbracciati, rimandano ad una unione e ad una completezza assoluta. Ricordo, infine, la “Madonna del latte” di Bergognone, la “Vergine con il bambino” di Luis de Morales, tanto per richiamare quei dipinti che più facilmente tornano alla mente per la dolcezza della scena che raffigurano.
Ora, per la psicoanalisi la dimensione estetica ha la sua genesi proprio nei primi mesi di vita, tempo in cui il bambino viene allattato al seno. Pensiamo allo sguardo e alle mani del bimbo attratto dai capelli sciolti della madre che, anche sotto il suo tocco, si muovono un poco durante i momenti in cui la bocca è staccata dal capezzolo, al suo sorriso e ai suoi gorgheggi. Pensiamo, poi, allo stesso bambino, supino in carrozzina sotto un albero che ride e gorgheggia guardando i rami più bassi che oscillano lievemente e le cui foglie fremono sotto la brezza. Possiamo immaginare, probabilmente, un passaggio, “uno spostamento simbolico” dai capelli della madre ai rami dell’albero, per cui il vibrare delle foglie susciterebbero quella beata allegria che gli procurava poco prima la chioma della madre. E quei capelli così belli, proprio perché in quel momento il bimbo riceveva un nutrimento non solo fisico ma soprattutto affettivo, realizzavano quell’adattamento attivo della madre ai suoi bisogni più profondi.
Malgrado ciò nessun evento delle vita adulta incute un tale timore reverenziale per la bellezza e per lo stupore quanto questo, legato agli eventi dell’allattamento al seno. Eppure scrive Meltzer: “L’esperienza estetica della madre con il suo bambino è normale, regolare, abituale, in quanto ha millenni alle spalle, sin da quando l’uomo vide per la prima volta il mondo ‘come’ bello. Sappiamo che questo risale per lo meno all’ultima glaciazione”. Sono i limiti delle nostre capacità di identificarci con il neonato che lo rendono, nei nostri pensieri, privo di forma mentale? Anzi: che suscitano, come nel caso di questa notizia, il bisogno di cacciare la madre dal locale, di rifiutarla? Una lettura che vada più in profondità, come quella psicoanalitica, ci ricorda l’importante funzione strutturante del seno contro il rischio della frammentazione. Il calore del latte che scende all’interno del corpo procura benessere, rassicurazione e permette al neonato di costruire progressivamente una percezione unitaria di se stesso che contrasta le angosce persecutorie generate dalla fame, mentre lo stesso capezzolo in bocca assicura un baluardo esterno che porta ad una primaria sicurezza di base. Ma quello stesso seno materno ben presto genera anche una serie di incertezze: che cosa c’è nella mente della madre? E’ bella anche nel suo interno invisibile o nasconde oggetti ed intenzioni pericolose? Sì, perché il bambino non può comprendere il senso del comportamento della madre, del suo esserci e non esserci, dei suoi cambiamenti emotivi che scorge nel mutare del suo volto, della sua voce che cambia di tonalità e delle sue parole così indecifrabili. Altra fonte di insicurezza che assilla il neonato circa l’inadeguatezza delle figura materna coinvolge persino lo stesso allattamento al seno. Anch’esso offre un messaggio enigmatico e ambiguo. Da un lato, il latte di quel seno toglie i morsi della fame, provocando benessere, sazietà, quiete; dall’altro, quello stesso latte ad un certo punto terminerà, e non solo si tramuterà in un contenuto interno che genera fastidiose tensioni che il neonato deve espellere.
Allora chi è dunque la madre: Beatrice, colei che genera beatitudine, o la Gioconda che porta alla perdizione?
Questo interrogativo sulla reale natura di un “oggetto” così buono e così bello fa sorgere quel doloroso dubbio, che Meltzer chiama “conflitto estetico”.
Nella storia relazionale di un individuo, tanto più il rapporto con la madre è stato disturbato, tanto più quel conflitto si accentua e tanto più egli diventa insofferente a quella bellezza originaria, alla precarietà e alla enigmaticità che essa suscita.
Mi chiedo, allora, se il rifiuto ad accettare la presenza di una madre che allatta in un ristorante non sia causato proprio da vissuti angoscianti che quell’immagine bellissima poteva richiamare. Vissuti ancor più accentuati dal fatto che il nutrimento della madre rimanda comunque ad un rapporto effettivo, ad un contatto emozionale mentre il nutrimento del ristoratore … a che cosa può rimandare?